Le stranezze della morte

Commenti

  1. letta

  2. Domenico Parlavecchio dice

    Per quanto mi riguarda…

    La morte è una chiave di lettura: "Vivere come se ogni momento fosse l’ultimo" … qualche anno fa mi fu proposta in una riflessione insieme ad altre famiglie. Continua a risuarnarmi in testa .. spesso e ..in modo benevolo.

    Come conseguenza ti ritrovi in testa un’altra domanda (forse l’unica): "E poi che succede.. se succede?".
    Questa è quella che anima i dibattiti e non solo .. le azioni a volte anche estreme. Le risposte possono essere tante, troppe ..

    Certo è che se non hai una chiave di lettura della nostra vita o rimandando la domanda, non farsela, non incontrarla mai significa che la morte non esiste.

    Se sei consapevole della morte allora sei consapevole della vita TUA e degli altri (i figli come sai ce lo ricordano sempre e Irene 5 anni la domanda me la pone spesso .. in modi diversi ..)

    Non voglio fare un doscorso tra chi crede oppure no .. ne faccio una questione di "stile", di "stile di vita"… quello che si vede delle persone (quello che dice,. che fa, …). Basta vedere cosa facciamo, diciamo, … fortunatamente tutto continua ad andare anche senza di noi MA quello che lasciamo ha un senso (nel bene o nel male)… ha un peso… insomma la nostra vita non è indifferente agli altri così come le conseguenze.

    Per essere più chiaro guardati questo [b]video[/b]
    [b][url]http://www.youtube.com/watch?v=o3lqbLNtqAU[/url][/b]

    Penso e spero di aver risposto anche a Luca. Sì lo sport ha molto di spirituale .. secondo me se ne può parlare ma vale tutto quello detto sopra. Dobbiamo imparare a distinguere i PUNTI DI ECCELLENZA (le cose belle come lo sport) dai SOTTOPRODOTTI (quello che succede di brutto in campo o fuori).
    letta

  3. caro domenico , quello

    caro domenico,vorrei dire che io ritengo possibile e forse doveroso avvicinarci ai sottoprodotti con quel serbatoio di bontà che ci appartiene senza precludere,escludere,deludere etc.se dividiamo il mondo in bello e brutto non siamo i primi a rinunciare?

    letta

  4. Domenico Parlavecchio dice

    .. distinguere il bello dal brutto (giusto e sbagliato) è solo il primo passo per avviare un percorso personale di cambiamento culturale, psicologico e spirituale (lo diciamo spesso) .. ma soprattutto proporlo.

    Non si può vivere nella terra di mezzo .. devi sempre (o quasi .. il percorso è arduo) se non sei in grado di dire chi sei.

    letta

  5. letta

  6. Carissimo Alessandro, grazie delle tue riflessioni.

    Le ho sentite anche mie.

    Mi pare che la morte, come ogni altro evento, possa apparirci in modi del tutto diversi, a seconda dello STATO in cui ci troviamo.

    Possiamo vibrare di terrore, oppure dimenticarcela, o anche percepirla come inesistente: morte, dov’è il tuo pungiglione?

    Il problema perciò resta lo stato in cui dimoriamo….

    Un abbraccio
    letta

  7. Hei Luca, sai cosa ti dico ……. proviamoci .
    Io per qualche hanno della mia vita ho seguito con assiduità il calcio (anche perchè l’ho sempre praticato e ancora non disdegno una sana partitella ) ma mi sono ritrovato rinchiuso in un ruolo che ad un certo punto mi andava stretto .
    Essere tifoso , anche se non facinoroso , di una squadra fa crescere e cioè sviluppa un vigoroso spirito bellico nei confronti di tutte le altre squadre .
    Non è vero che l’importante è partecipare , il secondo non conta niente , è un perdente ……questo il messaggio che passa .
    La politica poi……… ormai ……..non è più !!( pace alla sua anima), ormai abbiamo la partitica che è come un campionato di categoria inferiore alla terza dove il gioco che si pratica non è neanche più quello iniziale .
    letta

  8. paolabalestreri dice

    Volevo segnalare questa informazione che riguarda un’intervista fatta dalla nostra amica Maria a delle persone speciali:
    Domenica prossima, 21 dicembre, il servizio girato in reparto quindici giorni fa, verrà messo in onda su RAI3 alle ore 12:15. Il programma si intitola "Persone". Vi aspettiamo numerosi incollati alla televisione: oltre alla storia di Stella, verrà presentata la vita di reparto con piccoli accenni alle storie dei pazienti ricoverati ma anche al lavoro dei medici e si farà riferimento al libro "L’arcobaleno della speranza – Anche a noi è successo".
    http://www.arcobalenodellasperanza.com
    letta

  9. letta

  10. Si è proprio così invidio la tua sicurezza sull’eutanasia .
    Io ho invece grossissime difficoltà ad accettare un uomo che decide di rinunciare alla vita .per me è una grande sconfitta di tutta l’umanità intera.
    Credo che una decisione così definitiva sia frutto di una disperazione totale che ha radici in una profonda solitudine nella quale normalmente si trova chi soffre.
    E’ veramente difficile rimanere vicino a chi soffre ma se non lo facciamo cercando per quanto ci è possibile di alleggerirgli il carico rischiamo di cadere in un pericoloso atteggiamento di freddo distacco e da qui al disinteresse totale per i problemi degli altri il passo non è lungo .
    Voglio dire che nelle logiche attuali i costi che si sostengono per curare alcune malattie rare o il sostegno per persone che ne hanno bisogno perchè non autosufficienti o i percorsi di recupero per soggetti a rischio possono sembrare uno spreco di risorse utili per tante altre attività , se così fosse mi sentirei proprio di appartenere ad una razza di esseri senza cuore.
    letta

  11. Chiara De Dominicis dice

    Vorrei raccontare una strana storia che mi è capitata una notte in Ospedale . arriva una vecchiettina in stato gravissimo , grave demenza senile ,stato generale pessimo abbandonata da anni in una casa di riposo e molto ,molto agitata. Doveva fare la TAC ma si muoveva continuamente ,arriva la collega del pronto soccorso e mi dice che la signora stava ferma solo se qualcuno recitava il Padre Nostro .
    Allora abbiamo acceso l’interfono e invece del classico "fermo non respiri " dei radiologi ,ci siamo messe tutte ,io la tecnica e la collega a recitare il Padre nostro .
    La Signora è stata ferma ferma e abbiamo potuto fare l’esame.Il cervello della Signora era COMPLETAMENTE atrofico ,colpito da infiniti insulti ischemici .
    E’ stato un momento di grande fraternità e commozione fra me e le mie colleghe ,era tutto cosi’ strano un po ‘ irreale . Noi tre che recitavamo il Padre nostro ,la grande tecnologia e una signora ,ridotta allo stato vegetativo che riconosceva non credo con il cervello ,ma mi piace pensare con l’Anima la Preghiera delle Preghiere e che anche senza niente ci ha condotto ad uno stato di Io in relazione . Credo che Marco abbia ragione dipende tutto dallo stato in cui ci troviamo e la cosa incredibile e che possiamo trovarci in uno stato di Relazione profonda con la Sorgente della Vita anche con un cervello atrofico e con un corpo disfatto . Non ho una posizione razionale e ben definita sull’eutanasia volevo solo esprimere il senso di Amore e fratellanza e Mistero profondo che quella notte ,quella Signora ci ha regalato .
    letta

  12. letta

  13. iside fontana dice

    Le vostre parole mi hanno suscitato alcune riflessioni.
    Mi pare che siamo inevitabilmente forgiati dalle esperienze che viviamo, nel bene e nel male. È un’evitabilità costitutiva al nostro essere, altrimenti la vita su questa terra non avrebbe senso. Il fatto di vivere in Italia, in questi anni, dentro le relazioni che stabiliamo, con i nostri desideri, nella lingua che parliamo dà corpo alla nostra vita, ci dà corpo, il nostro (unico) corpo. il nostro essere libertà storica fa sì che noi siamo esseri in cammino, che prendono decisioni in base alla tappa del cammino in cui sono nel momento della scelta. Non credo però che sia un limite, mi pare invece che sia il nostro modo di essere. Crescere è il nostro destino e questo implica che prima non capiamo poi cerchiamo di capire meglio, sempre meglio (almeno nell’intenzione!).
    Ciò significa che non possiamo permetterci di scegliere soltanto a partire da una verità raggiunta, da una libertà compiuta perché la vita ci chiede assunzioni di responsabilità anche dentro la parzialità del nostro vivere. Lo sforzo è perciò di continuare il percorso di crescita sapendo di non essere perfetti e di non poter precorrere i tempi.
    Quando è tempo di staccare la spina di un’alimentazione forzata per chi sta vivendo in una dimensione per noi indecifrabile? Certo non è facile da stabilire, ci mancano ancora tanti tasselli per avere il quadro completo. Tuttavia, che cos’è vita? Se non siamo in grado di stabilire relazioni, sia pure per un difetto di capacità dal nostro lato di cosiddetti coscienti, perché abbandonare una persona nella solitudine relazionale di un corpo con cui non entriamo più in contatto efficace? Personalmente, non vorrei che la mia vita si riducesse a stare distesa su un lettino, senza poter decidere nulla di me. Se almeno fosse data voce alla volontà già espressa prima che certi eventi si verifichino… Per come vedo io le cose, staccare la spina significa liberare la persona permettendole di raggiungere quella dimensione di compimento cui tutti aneliano, consapevoli o no.
    Mi ha fatto riflettere inoltre la storia dell’anziana signora in ospedale dentro la Tac. Mi è venuto però da leggerla da un altro punto di vista. E se la signora fosse vissuta in un ambiente in cui le era richiesto, da bambina, di stare ferma e ben composta quando si dicono le preghiere? E se la recita del Padre Nostro fosse per lei il riecheggiare di minacce di sgridate che la facevano, e la fanno ancora, stare immobile? Le paure sono profonde e potentissime, lo sappiamo bene tutti, purtroppo. Non vorrei rovinare la poesia di un momento che non ho vissuto e che quindi aggrappo con il cervello e molto meno con il cuore. Anche qui, l’interpretazione del mondo assume la forma che le diamo.
    La lettura di questo sito si fa sempre più interessante…
    iside
    letta

  14. MAURIZIO ALFERAZZI dice

    letta

  15. Chiara De Dominicis dice

    letta

  16. Maurizio vprrei che tu mi seguissi in questo viaggio .
    Eluana in questo momento è con noi , è viva come noi lo siamo anche se lei è in una condizione di enorme difficoltà ed immagina per un momento che lei stia cercando di comunicare con noi ma noi distratti come siamo da tutte le nostre occupazioni non prestiamo la necessaria attenzione a lei e ci preoccupiamo solamente di nutrirla, perchè mi risulta che sia solo questo il trattamento che riceve da una macchina.
    Ci sono tante altre persone che vivono dimensioni simili a quella di Eluana ed alcune di queste sono tornate a vivere autonomamente . Tanti dicono che questo per lei non è possibile ..ma ……..e se invece accadesse che dopo aver staccato la spina ,come dicono in tanti , scoprissimo che una via per comunicare con lei c’èra e che quindi solamente lei nella sua realtà poteva prendere decisioni ???
    In fondo oggi con tutto l’amore che gli vogliamo la condanneremmo ad una morte per sete e fame !
    Il papà ci dice che lei non avrebbe desiderato questa realtà , e chi di noi lo farebbe?!
    Ma in questo momento la dimensione che lei sta vivendo potrebbe anche essere di stimolo per un sano impegno di ricerca approfondito sul tema che io ,scusami ,non vedo . La mia percezione mi dice che è più diffuso un atteggiamento del tipo " meglio non pensarci ed aiutarla a farla finita "
    Non so se riesco a spiegarmi ma sono anche cosciente che io non sono il papà quindi mi si può rispondere tu parli bene ma……………..
    letta

  17. MAURIZIO ALFERAZZI dice

    letta

  18. letta

  19. iside fontana dice

    Ciao Luca
    Grazie per la condivisione.
    Sono convinta che le esperienze che viviamo, soprattutto la sofferenza che ci affligge, condizionino pesantemente la nostra prospettiva sulla vita e sulle ‘cose ultime’. Personalmente, non riesco a pensare alla vita umana come ad un episodio estemporaneo, destinato a rimanere senza traccia nella storia dell’universo. Credo che ci sia un oltre che ci attende e che ci fonda. Tante volte mi scopro misteriosa a me stessa, ogni essere umano mi appare come un profondissimo mistero. Forse siamo chiamati a capire sempre meglio e sempre di più il mistero che ciascuno di noi è, in un percorso eterno, pieno, insaturabile.
    Non riesco a pensare alla vita di una persona come esclusivamente sovrapponibile al suo percorso terreno. La vita ha del sovrabbondante. Io sono il mio corpo, io ho un corpo: due affermazioni proposte come entrambe vere su cui ha chiesto di riflettere un giovane e saggio teologo di cui ho seguito una lezione. Mi piace pensarmi come imprescindibile dal mio corpo – di cui questa spoglia mortale è un involucro compenetrato a me stessa che tuttavia lascerò come il bruco lascia la sua muta e diventa farfalla – un corpo senza il quale io non esisterei. Io però ho un corpo cioè non sono esattamente identificata con esso, sono anche qualcosa di più e sono in desiderante attesa di scoprire come sarà la mia figura definitivamente liberata e finalmente felice. So di rischiare lo sbilanciamento e di vivere qui in una sorta di apnea in attesa dell’oltre, ma talvolta il dolore mi fa slittare nella speranza impaziente del compimento e della liberazione dal male.
    Ma la liberazione dal male comincia qui ed ora, questo mi ha insegnato Marco Guzzi. Qui e ora. Ma il mio qui e il mio ora posso viverli soltanto con gli strumenti che ho a disposizione nel tempo in cui vivo. Capisco Alessandro quando dici che il nostro livello di comunicazione è troppo povero per poter capire ciò che magari una persona in uno stato vegetativo ci potrebbe dire. Eppure non abbiamo altri strumenti di quelli che effettivamente abbiamo a disposizione. Ed è con questi che dobbiamo fare i conti. Ciò non significa rinunciare a crescere, a capire sempre di più. Ciò non significa che la scienza non debba impegnarsi seriamente per offrire strumenti di aiuto reale e non soltanto palliativi che confondono. Ciò non significa che noi non dobbiamo impegnarci per stabilire rapporti umani sempre più intensi e profondi, che non siano la facile cancellazione del difficile e dello scomodo. Credo però che nell’attesa di una comprensione più sana, siamo comunque chiamati a prendere delle decisioni e soprattutto che ciascuno abbia il diritto legale di disporre di quel corpo che è e che ha secondo il proprio modo di intendere e di interpretare la vita.
    Un caro saluto a tutti voi
    letta

  20. letta

  21. iside fontana dice

    Grazie Luca!
    Fa piacere sentirselo dire e fa piacere scoprire sintonie.
    Un carissimo saluto
    letta

  22. letta

  23. letta

  24. Caro Alessandro grazie per questo post che ha suscitato così tante riflessioni.
    Provo ad aggiungere la mia.

    Non ho soluzioni, né certezze per il caso di Eluana, mi chiedo solo: perché mi viene offerta questa ‘sacra rappresentazione’ adesso? Cosa devo comprendere? Quale compito evolutivo mi pone?
    Quali aspetti di me, della nostra umanità, rappresenta? Cosa di me, di questo nostro mondo, resta in stato di coma permanente? Cosa non si decide a morire?
    Cosa significa questo grande interesse per il ‘morente’ e questo disinteresse per il ‘nascente’, per i tanti bambini ‘buttati via’, per tutti i bambini non nati, abortiti, soffocati, usati, schiavizzati, fuori e dentro di noi?

    Non voglio essere fraintesa. Non sono per l’eutanasia.
    Credo che la vita sia un dono e un mistero che noi non possiamo comprendere.
    Credo che quando la vita si riduce ad un ‘apparente’ stato vegetativo, quando il corpo si riduce ad una ‘cosa’ manipolata da altri, il mistero del dono diventa più grande: si è lì solo come corpo ‘spezzato e donato’ per altri.

    Ma l’angoscia per i familiari, per chi assiste è grande, incontenibile.
    Ne ho fatto esperienza durante la malattia di mia sorella che abbiamo assistita in casa negli ultimi mesi: totalmente paralizzata è rimasta in coma l’ultima settimana di vita.

    Che senso aveva la vita in quelle condizioni?
    Solo la fede ci consentiva di starle vicina pregando, carezzandola.
    Solo l’affetto di tanti amici ci consentiva di contenere l’angoscia che ci dilaniava dentro. Confesso che l’unico desiderio era che finisse presto questo stato di vita sospesa, che arrivasse l’ultimo respiro.

    Lo stato di coma di mia sorella è durato solo una settimana, che dire quando il coma si protrae per anni? Come non comprendere l’angoscia dei familiari?
    Anche quando non si è direttamente coinvolti nell’assistenza resta lo stato di ‘sospensione’ che genera un’ansia senza fine. E questo logora nel tempo, e gli amici dopo un po’ vengono meno e si resta soli con il dolore di un lutto che non riesce ad essere elaborato perché non è ancora arrivata la ‘fine’.

    Capisco il papà di Eluana, capisco la sua angoscia e il suo bisogno di porre fine a questa infinita agonia; senza una dimensione di fede, senza una comunità che ‘abbraccia’, resta la soluzione umana di ‘staccare la spina’.

    Non bastano i principi da difendere, questi devono tradursi in vicinanza affettiva, in ‘abbraccio accogliente’. Ma le nostre comunità di fede sono capaci di questa vicinanza affettiva che dura nel tempo, di questo abbraccio accogliente?
    letta

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