Angelus Novus

Commenti

  1. Bellissimi, caro Alessandro, i due brani che ci hai proposto. Sì credo fermamente nella "forza messianica" che ci tramandiamo che lega noi uomini in un destino comune, ben venga il progresso ma non riesco a vedere il passato come cumulo di rovine. La mia riflessione è molto semplice ma viene da dentro.
    Premetto che non ho mai amato la festa di Capodanno, non so mi mette tristezza, non riesco a non pensare a chi, in questo anno, ha avuto grossi dolori, difficoltà o non c’è più.
    Proprio per questo davvero non riesco a capire tutte le persone (e sono tante) che mi dicono in questi giorni : "Speriamo che l’anno prossimo sia migliore!", persone che conosco e so che non hanno grossi problemi. Forse è un modo di dire! Ma perchè, mi chiedo forse per la recessione, perchè non si può spendere come prima!

    Proviamo a pensare invece se godiamo ancora dell’affetto dei nostri cari, se abbiamo ancora un lavoro che ci permette di vivere dignitosamente, se possiamo godere di momenti di relax, ascoltando la musica, curando i propri fiori, leggendo un bel libro, chiaccherando con un amico. Personalmente ho avuto anche la possibilità di fare un bel viaggetto con mio marito e i miei figli.
    E allora non mi aspetto un anno migliore di questo ma un anno come questo, quello che chiedo caso mai è vivere di più nello Spirito e di non farmi accecare dal “non essenziale”. Questo auguro anche a voi, cari amici, Buon Anno da Gabriella
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  3. Dopo il Natale si festeggia il Nuovo Anno, dopo l’avvento dell’Uomo Nuovo si fa festa per la Nuova Era che inizia.

    Grazie Antonio per i brani che ci hai proposti.

    “Allora noi siamo stati attesi sulla terra “. Mi hanno colpito molto queste parole.
    Come Gesù, anche noi, ciascuno di noi, è l’atteso delle genti, la cui venuta è stata preparata da migliaia di generazioni.

    Anche in ciascuno di noi è stata riposta dalle generazioni che ci hanno preceduto una speranza di salvezza che non posiamo deludere.

    Il Nuovo Anno mi porta a riflettere sulla novità di vita che mi è stata consegnata, sulla Parola che mi è stata affidata, su quella parola unica che toccherà solo a me manifestare, vivere e annunciare.

    Risvegliarmi a questa consapevolezza è adempiere la missione della mia chiamata alla vita.

    Un caldo abbraccio e un caro augurio a tutti. giovanna
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  4. iside fontana dice

    Grazie Giovanna per queste belle parole di speranza.
    Ogni tanto mi perdo nella routine quotidiana, nel rumore di ciò che devo fare, fare, fare… e così divento un puntino tra i tanti, un puntino come tanti. Grazie per avermi ricordato che sono un puntino come nessun altro e come tale ho una grande responsabilità verso il mondo che abito, verso le relazioni che stabilisco, verso le attese che suscito, verso le delusioni che produco.
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  5. Carissima Iside, grazie per l’incoraggiamento che ricevo spesso dalle tue parole.

    Ti auguro un mondo di bene. Un forte e caldo abbraccio. giovanna
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  6. Grazie caro Antonio, citazioni molto belle e quanto mai opportune di W.B. che personalmente ammiro molto, e ho avuto modo di studiare con attenzione.
    Mi associo in pieno con il commento di Gabriella che ugualmente ringrazio per la lucida ed emotiva analisi.
    Per il nuovo anno chiediamo più spiritualità più fede e rendiamo grazie a Dio.
    L’anno appena trascorso ha portato ugualmente cose belle, quello nuovo che si apre ci chiederà maggiore impegno forse, ma sono sicuro che vale la pena di viverlo fino in fondo nell’Amore. Buon Anno e buona Pace a tutti. Marco F.
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  7. Ricambio gli auguri di tutti, e cerco di spiegare cosa vedo nel passato (ma Benjamin dice "progresso") come "cumulo di rovine" proposto nel secondo brano. Così credo di rispondere anche a Gabriella. Chi, o quale parte di noi, Benjamin sferza con un giudizio così netto e apparentemente pessimistico sulla storia? Il suo pensiero (Benjamin è ebreo) rompe in modo evidente con l’ottimismo occidentale, la fede nel progresso come accumulo continuo, la stessa idea di progresso come continuità storica di eventi necessari, perché fondati su una superiore "Ragione", non importa se immanente o metafisica. Con questo, si pone molto al di là del dibattito tra conservatori e progressisti, rivoluzionari e reazionari. Perché Benjamin pensa secondo categorie bibliche (quindi messianiche e apocalittiche), e immagina il futuro come irruzione del radicalmente altro nel cuore della storia, che – prima di risanare – sfigura e rivela nella sua natura illusoria e parzialmente distorta. Insomma, la qualità stessa della sua speranza è apocalittica. Ecco. Questo tipo di speranza mi aiuta a precisare un sottofondo "emotivo" che io stesso avverto in me, al di sotto delle aspettative "mondane" che, tutto sommato, sono variazioni sul tema del già esistente. Questa speranza è per me una "tonalità emotiva", ed è il contrario speculare dell’angoscia, che pure agisce più in profondità delle paure e dei sistemi di aspettativa contingenti che tutti conosciamo. Sento che questa speranza si afferma in me contraddittoriamente, mentre molta parte del mio io non vuole affatto che "passi la figura di questo mondo". Eppure, per me che sono credente, questa speranza è la sola ad avere un carattere cristiano. Non capirei altrimenti le pagine con cui il Cristo descrive gli ultimi giorni nel Vangelo di Matteo. Giorni di angoscia e di doglie "come di partoriente", mentre si afferma il Regno di pace e giustizia, che proprio in quanto fondato sull’amore, catastrofizza la figura di mondo a cui siamo abituati, centrata su un io così dispotico, asfittico, infantile. Questo cumulo di rovine, questo ammasso di macerie prima di coinvolgere le strutture esterne, si compie in ciascuno di noi, attraverso una serie di lenti smottamenti in cui rovina l’"uomo vecchio", ed è alimentato, maceria su maceria, dal lieto fuoco della speranza. La buona notizia che cerco di intravvedere è che, lo vogliamo o no, lo attendiamo o lo temiamo, questo processo di inarrestabile dissoluzione di figure e configurazioni psicologiche, spirituali e geopolitiche, va avanti comunque, spesso alimentato dall’altissimo grado di sofferenza in noi generato da ciò che non ha in sé né vita né consistenza autonome.
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