Darsi Pace in parrocchia

Commenti

  1. Credo che le comunità parrocchiali debbano fare tanta tanta strada in questo senso. Ricordo anni fa che nella mia parrocchia di San Pio X alla Balduina un prete illuminato organizzò un corso di psicologia e mistica. Ricordo una sala stracolma di gente, aspettative enormi, grande interesse per gli interventi teorici. Quando poi hanno provato a introdurre blandi, ma proprio blandi, esercizi di ascolto e di condivisione, è scattato il panico, il rifiuto, la fuga.
    L’esperienza, dopo esplicite proteste di taluni, non si è più ripetuta.
    E ancora oggi, quando mi capita di parlare con qualcuno dei parrocchiani della meditazione, precisando che – per me – non è preghiera cristiana ma semplice preparazione di un soggetto tendenzialmente distratto, malgrado questo scatta lo sguardo sospettoso e la predica che è meglio l’adorazione. Inutile dire che quando chiedo cos’è l’adorazione ricevo in genere risposte velleitarie, parziali e confuse, che esulano la domanda chiave: cosa adori se la tua mente è un criceto impazzito che pensa a tutto fuorchè all’Altissimo?
    Ecco, nelle parrocchie tutti i processi di consapevolezza sono visti con sospetto. Anche i preti ne sono terrorizzati (più per timore che la comunità sfugga di mano che per disinteresse a dire il vero).
    Ma perchè questo papa così attento al vissuto profondo della fede, accanto a un monito sui gay e a uno sulla pillola, non ci mette anche un’esortazione all’ascolto operativo della propria anima?

  2. Uno dei grandi passaggi che la comunità cattolica sta faticando a fare mi sembra proprio quello tra le parole e i principi proclamati e l’esperienza concreta che se fa.

    Manca ordinariamente il piano della verifica.
    Tipica esigenza moderna…

    Se, ad esempio, leggiamo i documenti magisteriali sulla formazione e l’iniziazione cristiane, possiamo trovare, e da 40 anni, elementi molto avanzati, direi a volte profetici, nel senso di una formazione integrata, psicologica e spirituale.
    Ma dove si stanno verificando questi itinerari?
    Dove si sta facendo una concreta sperimentazione?

    Questo è il problema: scendere nella verifica infatti significa mettersi in ascolto delle persone, chiedere loro se hanno una vita spirituale reale, se hanno una qualche esperienza della nascita dall’alto o della vita nello Spirito, se la loro preghiera li illumina e li libera realmente, se le prediche che dobbiamo ascoltare ci toccano o ci lasciano peggio di come ci hanno trovati, se la vita parrocchiale dissolve le nostre difese egoiche o le rinforza in nome del moralismo e del perfezionismo, o del buonismo “sociale” a buon mercato, e così via.

    E questo setaccio fa paura.
    Ma la paura blocca la crescita, e spesso le persone semplicemente se ne vanno dalle loro parrocchie, e vanno a cercare la vita altrove…purtroppo…

    Perciò la tua esperienza a san Frumenzio, carissimo Alessandro, è molto consolante, e speriamo di poter fare della nostra parrocchia un luogo avanzato del rinnovamento umano e spirituale che ogni giorno di più mi pare indilazionabile.

    Marco Guzzi

  3. Caro Alessandro,
    nella mia storia vi sono stati momenti di coinvolgimento nella mia attuale porrocchia (diocesi ambrosiana), con alterne vicissitudini; questo per una decina d’anni, poi me ne sono andata (non solo dalla parrocchia ma anche dalla Chiesa). Ritornata dopo molti anni, ho trovati dei cambiamenti che seguono il senso d’impotenza, che segna la società attuale, così come la Chiesa. Nonostante un giovane Parroco, la vita si evidenzia solo in un minimo di coinvolgimento delle famiglie con più figli piccoli, che animano alcuni momenti di festa, come il capodanno, il carnevale ed una settimana dedicata alla famiglia. Questo è qualcosa certo, in senso aggregativo. Ma per ciò che concerne l’interiorità delle persone in senso comunitario siamo al minimo indispensabile nel seguire le proposte decanali; quasi una pura formalità.
    Forse io non ho “cuore adatto a vedere” e quindi preferisco astenermi da troppe critiche.
    Il passo avanti che ho fatto personalmente, consiste nel “pregare” per il mio parroco e per tutti noi (non è poco, visto che sono: “il più meglio assai migliore” e quindi ipercritica).
    Dentro me vi sono molte resistenze a coinvolgermi in un luogo in cui il criterio ultimo non è la persona ma “lasciar fare in modo acritico” e a chiunque manifesti un minimo di disponibilità, qualunque cosa che “tappi un buco”. Trovo questo assolutamente contrario allo spirito cristiano, ed anche ad una, se pur minima, intelligenza umana.
    Non ho ancora trovato il “centro” in cui lasciarmi (crocifiggere) nella speranza di una fioritura… per ora mi limito alla preghiera.
    Forse con il tempo imparerò che “il caso” provvederà nel modo più opportuno. Intanto apprendo a superare un ostacolo che ancora io personalmente ho: non credo “veramente” che pregare Dio serva a qualcosa…. .
    Talvolta emergono dei segni qualitativi, rispetto al passato che pur percorrendo metodi e strade per così dire “vecchi” testimoniano un movimento contemplativo che ritorna “adorante” del Signore..
    Questo mi fa sperare (di poter credere anch’io in Dio), è come un segno, una se pur lieve traccia “nascente”…
    ciao e grazie
    Buona Domenica a tutti
    Rosella

  4. Caro Alessandro, hai toccato una nota dolente del mio cuore.

    Sin dall’inizio della mia partecipazione ai gruppi Darsi Pace ho sentito che il cammino proposto da Marco rispondeva alle esigenze profonde della mia anima, ed era anche quello atteso da tante anime sofferenti del nostro tempo: un dono grandissimo per un autentico rinnovamento della Chiesa.

    Ho regalato i libri di Marco a tutti i sacerdoti che conosco, compreso il mio Vescovo di settore, considerandoli un cibo buono e nutriente per l’anima, e per chi deve prendersi cura delle anime.

    Il percorso di Marco si sposava inoltre perfettamente con un progetto di parrocchia missionaria che sentivo nel mio cuore da molti anni.

    Proprio nello stesso periodo era arrivato in parrocchia un nuovo parroco che aveva acceso molte speranze di rinnovamento. La coincidenza delle due cose mi aveva fatto pensare che forse il tempo era maturo per realizzare quel progetto di parrocchia missionaria auspicato anche nel Documento CEI “Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia”.

    Ho comunicato così con grande entusiasmo al mio parroco il cammino di formazione intrapreso con Marco ritenendo il metodo integrato prezioso per la formazione degli animatori della comunità: l’obiettivo era far crescere una comunità adulta nella fede, capace di corresponsabilità, come indicato nel documento CEI.

    Il rifiuto è stato totale e irrevocabile: non mi ha più rivolto la parola!

    Quali profonde paure ha scatenato la proposta?

    Condivido quanto detto da Massimo: nelle parrocchie, in genere, i processi di consapevolezza sono visti con sospetto; i preti ne sono terrorizzati, temono di perdere il potere e il controllo, temono che la comunità sfugga loro di mano.

    Di fatto si nota nella Chiesa una sorta di schizofrenia: da un lato si invitano i laici alla corresponsabilità, ad una fede adulta, dall’altro li si mantiene in uno stato di sudditanza reprimendo ogni forma di partecipazione creativa, soffocando i carismi che lo Spirito suscita, salvo poi a lamentarsi delle chiese vuote, della scarsa partecipazione!

    Capisco le resistenze di Rosella a coinvolgersi in un luogo in cui il criterio ultimo non è la persona. Nelle parrocchie si accetta spesso solo la collaborazione di esecutori acritici, di persone che hanno rinunciato alla loro capacità di pensare, persone da poter usare come oggetti.

    Caro Alessandro, l’esperienza che state avviando a S. Frumenzio mi riempie il cuore di speranza; mi auguro che diventi un’esperienza pilota che possa essere seguita presto da altre parrocchie perché la sofferenza è tanta, è necessario che le parrocchie diventino comunità vive, ricche di relazioni significative, reti capaci di accoglienza e di condivisione.

    Un abbraccio. giovanna

Inserisci un commento

*