Darsi salute. Da cosa dipende la nostra salute?

Commenti

  1. Caro Alessandro, grazie di questi nuovi spunti, che ci ricordano il ruolo della libertà e dell’impegno personale anche nel nostro rapporto con la salute, e più in generale con il corpo. In ogni ambito dell’esistenza stiamo comprendendo che il gioco dipende anche da noi, che noi siamo perlomeno uno dei poli di un gioco di sponde, e siamo perciò richiamati a vivere con crescente consapevolezza il nostro ruolo. Anche nella malattia possiamo agire in modi del tutto diversi: farci schiacciare o reagire ogni giorno e strappare quozienti di salute al male che ci assedia. Viviamo cioè una lotta costante contro le forze della distruzione, che agiscono fuori e dentro di noi.
    Un abbraccio. Marco

  2. Antonietta dice

    Grazie Alessandro di continuare a parlarci di un argomento così complesso come la salute.
    Quanto dipende dalla nostra libertà il fatto di fumare o di frequentare comportamenti che sappiamo essere nocivi per la nostra salute?
    Ai condizionamenti esterni io aggiungerei un altro fattore, tutto interiore, e cioè una certa misura di desiderio inconscio di farsi del male.
    Mi sembra che dentro di noi portiamo anche questo ospite scomodo, che normalmente è confinato lontano, in luoghi psichici remoti, ma che in certi casi può venire alla luce e fare molti danni.
    Certi comportamenti compulsivi, come il fumo o l’assunzione di cibi che sappiamo essere nocivi, mi sembra portino dentro anche questa componente inconscia del non amarsi e accettarsi completamente, e quindi di odiarsi un po’ e di “godere” inconsciamente nel farsi un po’ di male, anche se differito nel tempo.
    Quello che vorrei dire è che la nostra interiorità non è sempre un luogo sereno, e anche in persone “normali”, senza patologie psichiche, ci possono essere nemici interni, o distorsioni autolesioniste, che combinati con le mode sociali possono contribuire a danneggiare anche la nostra salute.
    La consapevolezza di questi sabotatori interni, attraverso il continuo lavoro psicologico/spirituale, mi sembra un altro passo verso uno stile di vita più sano.
    Ciao
    Antonietta

  3. Ciao Alessandro!
    Anche a me questo tuo post interessa molto e naturalmente condivido quanto è già stato scritto. A me pare che nella scelta di mettere in atto comportamenti autolesionisti ci sia anche una quota di errori cognitivi che trova complicità in un delirio di onnipotenza di cui siamo in parte affetti. L’informazione medica si basa su un’evidenza probabilistica per cui la prognosi clinica sul singolo è praticamente impossibile. Mi spiego. Se chiedo al mio medico se mi ammalerò di cancro ai polmoni la sua risposta potrà soltanto essere “non possiedo la sfera di cristallo e quindi non lo so”. Mi potrà invece dire che, in base ai fattori di rischio (fumo di sigaretta, ambiente di vita e di lavoro molto inquinato ecc) la probabilità di ammalarmi di cancro ai polmoni è ad esempio dell’80%. Tutti noi però conosciamo almeno un novantenne vispo e allegro che ha fumato come un turco per settant’anni e così, nel nostro delirio di onnipotenza, ci diciamo “perché dovrei ammalarmi?”. I processi decisionali (per intenderci, come li ha indagati il premio Nobel Daniel Kahneman) sono ampiamente influenzati da dimensioni emotive e da errori di valutazione di tipo cognitivo: è noto che Homo sapiens non è particolarmente bravo in calcolo delle probabilità. Questo mix mi pare diventi piuttosto pericoloso proprio quando si tratta di prendere decisioni con conseguenze visibili solo a lungo termine, come per gli stili di vita.
    Questo mi fa riflettere sull’importanza di una maggiore consapevolezza non soltanto del nostro mondo emotivo, così come sperimentiamo nei gruppi dP, ma anche del nostro modo di ragionare, stanando gli errori di valutazione che ci conducono a sbandamenti clamorosi come il successo delle lotterie (seppure la dipendenza da gioco sia questione complessa) e lo scivolamento dello spirituale nella superstizione lasciano presagire, solo per citare due esempi.
    Mi pare che i due aspetti, quello razionale e quello emotivo, non siano disgiungibili e che perciò dovremmo farci carico di entrambi in un lavoro educativo profondo.
    iside

  4. Alessandro da TS dice

    Grazie per i commenti, l’argomento è piuttosto ostico e si procede a tentoni, per cui è estremamente utile ricevere un feed-back. Cara Antonietta, probabilmente ognuno di noi ha il suo corvaccio nero che gracchia nella mente una canzone più o meno triste a cui, purtroppo, è naturale credere perché ha origine dentro di noi. In questo periodo, poi, il mio gracchia particolarmente forte per cui ne faccio esperienza continua, ed è una vera lotta lasciarmi attraversare dalle sue male-dizioni, senza reagire, osservandole, accentandole e lasciandole andare … e non farmi del male ma farmi del bene. Mentre le persone impegnate in un lavoro psicologico o spirituale sono in genere disposte ad esplorare questi aspetti della loro interiorità, mi chiedo quale sia il modo migliore di introdurre a tale pratica persone che, ad esempio, vanno dal medico per una glicemia alta. Per riconoscere il sabotatore, da cui spesso deriva ansia, depressione e vari comportamenti auto-distruttivi, ci vuole molta consapevolezza e non è facile costruirla in breve tempo. E’ certamente più facile correggere degli errori cognitivi, come suggerito da Iside, se presenti. Concordo che la comunicazione in termini di probabilità può essere fuorviante. Infatti, non esiste persona che fumi che non subisca un danno a causa del fumo, nemmeno l’ipotetico vecchietto, citato da Iside; ad un attento esame clinico, il nostro arzillo vecchietto risulterebbe afflitto da tutta una serie di danni d’organo causati dal fumo che, se non presenti, gli avrebbero permesso di vivere sicuramente più in salute e forse anche più a lungo. Comunque, anche in questo caso, sarebbe utile aiutare la persona ad entrare in contatto con il proprio corpo e a sentire l’effetto che il fumo ha sul respiro, sulla resistenza fisica, ecc. A quel punto non sarebbero più soltanto i dati epidemiologici e/o clinici ma anche le sue stesse sensazioni fisiche a convincerlo dell’effetto negativo del fumo. Ma anche per questo ci vuole consapevolezza. Ora non resta che convincere il ministro della sanità a trasformare gli ospedali in palestre di meditazione!

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