Oltre l’Expo

Commenti

  1. E’ stata una giornata davvero edificante, vissuta da me come vero gesto insurrezionale, in cui mi sono tirata fuori dalle incombenze imposte dal quotidiano per compiere una scelta di libertà: passare una giornata con degli amici per condividere riflessioni, gesti e ricevere e portarsi via una maggiore consapevolezza e un incoraggiamento a riappropriarsi quotidianamente della propria libertà di scelta e di vita a partire da uno stato di maggiore integrità ritrovato ogni giorno grazie alla meditazione e alla preghiera. E questo regala tanto benessere e tanta gioia: la gioia di sentirsi liberi, in pace e in armonia con se stessi, con gli altri, con l’ambiente.
    Irene

  2. Grazie a tutti coloro che hanno lavorato per riattivare il sito!!

    Staff DP Lazio, CONGRATULAZIONI! Avete fatto una cosa bellissima e grazie per averla condivisa con tutti noi!
    Un vero esempio di contestualizzazione, di come DP, scenda concretamente nel quotidiano e ne modifica il Senso e il Significato! Spero sia solo un inizio di una collettiva insurrezione e che le tante iniziative, in tutte le regioni, possano diventare stabili momenti di incontro e nuovi stili di vita, in alternativa ad un modello non più sostenibile. Piccole gocce che scavano un sasso!
    A tutti … un caldo… abbraccio . Buona estate! Maria Rosaria

  3. grazia lombardi dice

    Con orgoglio posso dire: “Io c’ero!”. E un po’ tutti abbiamo auspicato che diventasse una tradizione, quella di concludere l’anno con una giornata così. Come una sorta di ritiro spirituale. L’argomento (attuale, anche se, sinceramente, non se ne può più, della tanta pubblicità che contorna l’evento Expò. Ma è, appunto un evento!), la serenità, la condivisione, le persone che ci hanno accolti… ottimo davvero. Un grazie di cuore a chi ha ideato e organizzato il tutto. Siete speciali.

  4. Domenico P dice

    EXPO’ – solo se consumato (stato di mal-essere) posso consumare
    OLTRE EXPO’ – La trasformazione interiore faticosa e dolorosa dove mi incontro nuova-mente (l’essere) e imparo ad esser-ci (relazioni) e finalmente imparo a stare-bene (ben-essere).
    E poi riparto di nuovo trasformazione …. e ancora, e ancora (infinita-mente aperti) e … passa questo mondo e i secoli, solo chi ama non passerà mai.
    Per rimanere in tema mi viene in mente l’immagine del contadino (mio nonno) che ama i suoi frutti e ne trova piacere e per questo se ne prende cura e li dona (mi preparava sempre delle bellissime pesche).

    Grazie al gruppo del Lazio e a Marco per questo rilancio ad andare oltre a ciò che “si” vede, “si” sente.

    Domenico P

  5. L’incontro di Canepina è stata la degna chiusura di un’annualità intensa e fruttuosa con Darsi Pace, perciò voglio ringraziare di cuore il gruppo dei responsabili regionali che l’hanno organizzato.
    E’ stato piacevolissimo lasciarsi condurre nei vari momenti previsti durante la giornata, incentrata sul recupero della consapevolezza del binomio alimentazione-benessere, toccando anche il tema degli assurdi sprechi alimentari.
    Tutto questo non in un ambiente neutro e distaccato ma immersi nel verde del vasto giardino di una casa fresca ed accogliente, come i suoi proprietari, che saluto affettuosamente.
    L’idea che il pranzo fosse preparato sul momento da tutti noi divisi in gruppi, è stata poi una piacevole sorpresa : ci siamo sentiti tutti coinvolti e soddisfatti.
    Per me è stato anche un rimettere in moto la voglia di curare l’alimentazione della mia famiglia,cosa che, nella lista delle priorità, era scesa di grado . . .
    Grazie e Buona Estate a tutti !
    Laura

  6. Grazie a tutti, davvero.
    E’ stato bello immaginare, organizzare e realizzare questo incontro comune finalmente insieme, finalmente immersi nella natura, in un luogo poi, come ho spiegato il 27, a me caro fin dall’infanzia. Tutto è riuscito bene, per lo spirito di profonda condivisione che ognuno ha portato con sè dalle proprie abitazioni.
    Il pranzo poi è andato oltre le mie più rosee aspettative, tanto che replicherò certamente l’idea, quella cioè di preparare e consumare insieme il pasto, con parenti ed amici, nel segno di una condivisione profonda in cui ognuno può e deve sentirsi coinvolto.

    Spero infine, di poter creare un area di interesse intorno al tema dell’alimentazione sostenibile, che possa catalizzare energie nella direzione tracciata lo scorso 27 giugno… a mio avviso ci sono tutti i presupposti…
    Ma ora godiamoci tutti un meritatissimo riposo…buona estate e a presto.

  7. “Dopo un seminario sul marxismo o sull’anarchismo, gli studenti possono parlare di rivoluzione mentre mangiano corpi di animali torturati e uccisi.” (*)

    Se ci si sofferma a pensare quali siano i pilastri su cui la nostra società ha poggiato le sue fondamenta, immedia-
    tamente si pensa al soddisfacimento dei bisogni individuali. Non ci sarebbe alcuna società se non vi fossero tali
    esigenze. In definitiva mediante una serie di convenzioni, contratti, costrizioni e consuetudini ciascun appartenen-
    te ad una società dovrebbe ottenere ciò di cui ha bisogno per vivere. Questo in linea teorica, ovviamente, la realtà
    si è poi sempre dimostrata molto diversa. A prescindere però dal tipo di società umana considerata, dalla sua col-
    locazione storica e dalle sue caratteristiche, tutte indistintamente si sono sempre dovute porre il problema del ci-
    bo. Il cibo, quindi, è e rimane il vero fulcro della società umana: senza di esso sono scoppiate sommosse, rivolte,
    rivoluzioni, e guerre: a causa della sua scarsità, della sua diseguale distribuzione, per il suo controllo e per il fiu-
    me di denaro che da esso sgorga finendo nelle tasche dei pochi soliti noti. Il cibo è il collante sociale per antono-
    masia, dietro ad esso vi sono implicazioni culturali, sociali, storiche e tradizioni consolidate, il cibo inoltre è sem-
    pre di più uno status sociale.
    La frase riportata in apertura di questo testo è sintomatica: si può discutere appassionatamente di rivoluzione,
    crederci fermamente, praticarla e lottare per essa, ma poi ci si ritrova di fronte alla necessità che ogni rivoluziona-
    rio deve affrontare giornalmente affrontare tanto quanto qualsiasi altra persona: il soddisfacimento delle esigenze
    primarie, fondamentali. La prima di esse è il procacciamento del cibo. Risulta quindi facile ora capire cosa voleva
    dire Steven Best nella sua frase: è dalle fondamenta che bisogna abbattere una costruzione per rinnovarla, non
    dai suoi piani più alti. E le fondamenta della società umana sono sempre state abitate da esseri senzienti che non
    hanno mai fatto parte di essa, ma che l’hanno sorretta (e la sorreggono) mediante la loro sofferenza. Gli Animali
    (**).
    In sostanza Best sembra chiederci: come si può parlare di rivoluzione e di reale cambiamento sociale quando noi
    stessi ci omologhiamo a prassi di sfruttamento dei più deboli sfruttandoli per i nostri bisogni?
    Pare scontato pertanto che se si vuole cambiare un sistema (qualunque esso sia) semplicemente non bisogna
    assecondarne le pratiche (che lo tengono in vita) creando nuovi spazi liberati e nuove pratiche.
    In realtà risulta difficile capire come generazioni di attivisti, teorici e pensatori non abbiano mai compreso o considerato il fatto che per poter davvero cambiare le cose (e non solo quindi tentare la flebile via welfarista della modifica parziale della società umana) si dovrebbe partire dal basso, dagli ultimi e non solo dai gradini inter-
    medi? Non è possibile parlare di egualitarismo e di libertà quando miliardi di individui senzienti crepano quotidianamente per noi e per il nostro sistema. Non è possibile cercare nuove vie per la convivenza pacifica, per l’autodeterminazione dei popoli, per la liberazione collettiva ed individuale quando ci si sostenta con i pezzi di chi è ha subito violenza, torture, prigionia e morte. Siamo anche noi vittime del paradigma antropocentrico che ci costringe a pensare sempre e solo in termini di specie e mai in termini generali ai problemi. Vogliamo la libertà ma solo per noi, senza capire che la reale libertà ha un valore assoluto e non riguarda solo ed esclusivamente la nostra specie.
    Diventare vegan significa svincolarsi dalle logiche di mercato, sottrarsi alla pubblicità che domina la nostra società
    dello spettacolo (così ben descritta da Guy Deborde), dalle visioni verticali di chi ci impone un ruolo, una funzione,
    ed un ben preciso collocamento all’interno di una megamacchina che tutto tritura e digerisce. Ma la megamacchi-
    na ha un solo carburante che l’alimenta: i corpi dei non umani che ungono i suoi ingranaggi (noi) e che la fanno
    funzionare a ciclo continuo.
    Sarebbe così semplice rifiutare tutto ciò ed impostare la nostra esistenza su principi nuovi ed orizzontali. Una pie-
    na uguaglianza è ottenibile solo ed esclusivamente ridando finalmente la libertà e la dignità a chi per millenni ha
    subito la nostra forza devastatrice, e per farlo bisognerebbe subito ed ora smettere di cibarsi delle loro membra.
    Sarebbe semplice, ma nella realtà risulta arduo. Ciò a causa del fatto che le nostre menti non sono affatto libere, e
    torniamo ad essere semplici ingranaggi, esseri colonizzati nell’immaginario, e non individui realmente consapevoli.
    Fino a quando non cominceremo a pensare davvero in termini non antropocentrici, non riusciremo mai a slegarci
    dai retaggi del passato e dalla logica del profitto che mercifica ogni corpo ed ogni esigenza, che fa dell’infelicità
    permanente lo status di vita di ogni singolo per spingerlo a cercare soddisfazione nel consumo perenne. Solo par-
    tendo da una pratica quotidiana e personale come il veganismo etico si potrà cominciare un cammino realmente
    inedito. “Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno” diceva Isaac Bashevis
    Singer, come dargli torto? Impossibile quindi cominciare una vera rivoluzione pacifica e pacificante senza prima
    mettersi in gioco abbandonando ogni forma di discriminazione e di sfruttamento dei più deboli tra i deboli. Ogni
    altra soluzione sarebbe destinata a fallire.
    Note
    * Steven Best è professore associato di Filosofia e materie umanistiche presso l’università del Texas a El Paso.
    ** Max Horkheimer, “il grattacielo”, da Crepuscolo appunti presi in Germania 1926-1931, Einaudi 1977, pp. 68-70.

  8. Mariapia Porta dice

    Leggo soltanto ora delle vostra belle esperienza conviviale, attiva e riflessiva! Spero che possiate organizzare altre esperienze simili e che sappiamo imitarvi in altre regioni o contesti! Mariapia

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