La dolce via della guarigione

Commenti

  1. Come scriveva Marco Guzzi qualche tempo fa, “Diventare creativi significa infatti semplice-mente diventare se stessi, consacrarsi alla propria integrità, darsi finalmente pace, imparare ad amare, salvarsi, liberarsi, e quindi realizzarsi per davvero nelle proprie opere, creando sulla terra ciò per cui siamo stati creati, e compiendo così la nostra missione.”

    Diventare creativi è un compito sempre e ogni volta difficile, sempre ed ogni mattina quasi “impossibile”, ma ci sono ambiti in cui la possibilità è offerta. Dove ci si può rischiare, avendo magari già abbastanza sofferto della rinuncia alla creatività, che è come sottrarsi al proprio compito nel mondo. Mi pare che Darsi Pace, con i gruppi culturali, e anche altro, sia un posto in cui questo è ancora possibile. Dove si può… rinunciare (felice-mente!) a questa rinuncia.

    Dico dunque “grazie” a Marco Guzzi e a questo ambiente, che ha ricevuto e valorizzato questo mio tentativo, a luminosa conferma di tutto questo.

  2. “Duro il percorso d’amore…”!
    Vero…anzi di più, verissimo.
    Mi accingo a frequentare il
    secondo anno dell’approfondimento 2-IMPARARE AD AMARE- e mi sembra di essere al primo anno del triennio…strabismo percettivo
    il mio?
    “Imparare a guarire ” non fa rima con “Imparare ad amare” ma di certo è un’equazione che ti salva la vita.
    Questo credo di averlo imparato!
    mcarla

  3. Ciao Maria Carla,

    in effetti un po’ del titolo è anche mutuato dal libro di Marco, quello che state lavorando nel vostro biennio (io sono in App1 adesso). Anche per me è forte, specialmente in questo momento dell’anno, un’esigenza di ricominciamento… sono sicuro che se ripetessi il primo anno avrei di cose da imparare: ma come dice Marco, siamo sempre all’inizio, sempre principianti. Questo mi consola.

    Buon per noi, in fondo, non avere niente per dire “questo lo so”, ci aiuta a stare con gli occhi aperti.

    Anche la poesia in fondo è così, cerca di prenderti di sorpresa, non ama le cose già dette o quelle che crediamo di sapere su noi stessi: la poesia è la cosa più antiretorica in assoluto, si potrebbe dire. Chi pensa di sapere tutto su di sé e sul suo destino, difficilmente sentirà la necessità di aprire un libro di poesia. Queste persone, per inciso, sono quelle che temo di più in assoluto, si dichiarino cattoliche o atee, sotto questo profilo, non molta differenza. Se non c’è la ferita, non c’è feritoia di comunicazione.

    Ci serve un nuovo inizio.

    “Ogni giorno è sempre il primo giorno, / di questo lavoro ed è tutto / ancora nuovo …” così apro la raccolta, con una composizione, non a caso intitolata “Darsi Pace”.

    Un abbraccio caro,
    Marco

  4. Per quello che ho potuto sperimentare in questi anni, la guarigione é una grazia e quindi un dono gratuito che richiede una sola cosa, credo: un atto di fede. Se posso abbandonarmi un po’ di più’ ogni volta che provo a intraprendere la meditazione, se riesco a fidarmi , a non dare credito alle mie paure che mi fanno sentire contratta e mi rendono aggressiva con gli altri, collaboro alla mia guarigione. Come avviene non lo so, ma credo che posso diventare una persona migliore, che posso guardare alla mia vita con occhi nuovi , occhi resi più’ limpidi per cogliere piccoli dettagli , quei dettagli che mi dicono che la vita è un miracolo, aldilà delle rovinose cadute mie e degli altri. La poesia é stata anche per me in questi anni l’ambito in cui esprimere lo stupore di sapersi ascoltata e accolta per quello che sono, con le mie ferite che non sono più’ qualcosa di cui lamentarmi, ma la breccia attraverso la quale lasciare fluire la compassione che guarisce. Felice di riprendere il cammino, perché , davvero, da soli non si va molto lontano. Tanti auguri, Marco e grazie della condivisione: Con affetto. Monica

  5. Cara Monica, grazie davvero per il tuo commento.

    Molto bello quello che dici, “La poesia é stata anche per me in questi anni l’ambito in cui esprimere lo stupore di sapersi ascoltata e accolta per quello che sono, con le mie ferite che non sono più’ qualcosa di cui lamentarmi, ma la breccia attraverso la quale lasciare fluire la compassione che guarisce.”

    Parlavo proprio ieri del libro con la persona che mi segue nella fatica di… “imparare a guarire”, e mi diceva proprio questo “lei è qui, è in questo libro”: una raccolta di poesie è infatti più personale, tipicamente, di un romanzo o un racconto. E’ quello che si è, con meno strati intermedi. L’accortezza, il lavoro, è affinare queste frequenze “personali” in modo che incontrino degli “universali” capaci di far vibrare altri cuori. Quando succede, è come un miracolo, è una comunicazione empatica che resta, che traversa le circostanze, che connette le persone dalla parte del cuore.

    Vale la pena darci la vita, impiegarci la vita, per questo.
    Con affetto,
    Marco.

  6. giancarlo salvoldi dice

    Caro Marco, scienziato ricercatore e per di più poeta.
    Poeta scienziato: nel sentire comune non stanno insieme. Invece forse sono tautologia?
    Uscire dalla maschera, uscire dalla chiusura, uscire dalla menzogna: per me accade a passi piccoli, faticosi e lenti.
    Per guarire bisogna innanzitutto fare un libero atto di fede che la guarigione è possibile, e poi lo sperimentiamo gradualmente, un poco ogni giorno, con alti e bassi.
    Grazie a Dio siamo ben impostati in questo cammino comunitario che ci affratella nel limite ma anche nella liberazione.
    E grazie a te, che anche tu sei uno dei canali con cui lo spirito ci solleva da cecità e ignoranza.
    Giancarlo

  7. Carissimo Giancarlo,

    grazie per il tuo intervento. Hai ragione, nel sentire comune le due cose sembrano “collidere”, ma nella profondità delle cose la realtà, come spesso accade, è differente: ci sono tante interessanti testimonianze, anche in rete (http://disf.org/editoriali/2011-06), che ci confortano in merito. Una volta mio papà, astrofisico dai molti interessi, mi disse “non capisco le persone che fanno una cosa sola, io non riuscirei” e ti assicuro che lo diceva senza alcuna presunzione, ma con un senso quasi di sconcerto.

    Questo cammino che tu dici, non solo permette la creatività, ma direi la sollecita. Come strumento di liberazione, uno strumento al quale non possiamo rinunciare, nei termini e nella misura esatta, squadrata, della nostra inattesa “chiamata”…

    Un abbraccio,

  8. Una informazione “di servizio”, scusandomi in anticipo per quanto appaia di sfacciata auto-promozione, ma forse devo darla, visto che si sta parlando di questo volumetto:

    l’editrice De Felice fa sapere che potrà inviare il volume, a chi lo ordina entro il 20 settembre, senza addebitare spese per la spedizione. Per questo basta scrivere a info@edizionidifelice.it.

    Qui il libro sul loro sito: http://www.edizionidifelice.it/2018/152-Castellani.htm

    Grazie!

  9. Interessantissima la testimonianza di Giovanna Zimatore…grazie Marco !
    mcarla

  10. Un titolo come “Imparare a guarire” non può che smuovermi dentro, essendo parte del Gruppo di Creatività Culturale DarsiSalute.
    La sensazione di stare male credo sia ciò che avvicini la maggior parte di noi ai Gruppi Darsi Pace: per voler cambiare, per sentire di dover cambiare, per lasciarsi condurre da una spinta trasformativa abbiamo bisogno di motivazioni forti. Spesso invece accasciarsi nel proprio angolino, accartocciati al calduccio, è una difesa, come impariamo nei nostri percorsi.
    Quando poi lo stare male è immediatamente fisico, quando la malattia lascia i suoi solchi profondi nella carne, la voglia di uscire dalle ristrettezze, dalle limitazioni, si fa imperiosa.
    Abbiamo bisogno di guarigioni a più livelli, tutti intrecciati. Non posso stare bene se ho un dolore in un punto del corpo, se una malattia mi impedisce di svolgere compiti primari per la vita, anche quella sociale. Non posso stare bene se ho perso un affetto importante, se la depressione mi mangia poco alla volta.
    Allora ogni risorsa che ci faccia intravedere che è ancora possibile riempire gli sfregi nella carne e, come buon emolliente, ci ridà morbidezza, è da coltivare. Ottimo per chi la trovi nella poesia, ma qualunque risorsa che si faccia fondamento di speranza sia la benvenuta.
    iside

  11. Grazie cara Iside.

    Il titolo che ho parzialmente “rubato” al più noto Marco in uno dei suoi libri (cambiando un attimo una parola, ma mantenendo lo spunto di percorso iniziatico, possiamo dire) si è rivelato inaspettatamente capace, come dici, di “smuovere” le acque, in un ampio spettro di situazioni. Non ultimo, l’ambito educativo, con vere sorprese, per me (come appuntavo qui http://blog.marcocastellani.me/2018/10/iniziare-guarire.html).

    Sorprese che conservo nel cuore, con gratitudine.

    La necessità di guarigione a tutti i livelli, che spesso sperimento dolorosamente sulla mia carne e nel mio animo, sulla carne palpitante della mia anima, è un compito, anche. Di cui investire le parole, anche: le parole terapeutiche, certo, ma anche le parole della poesia. In effetti la poesia mi pare che rilanci una ipotesi di bellezza e di guarigione, senza la quale – oserei dire, come la religione – perde sostanzialmente la sua ragion d’essere: Gesù, prima di tutto, guariva.

    Penetrare nella cultura contemporanea rilanciando la guarigione a tutti i livelli penso sia un’opera buona, un’opera che Darsi Pace persegue con nitidezza e certo non da sola, qualcosa che ci sprona e ci interroga a tutti i livelli.

    Per me almeno, è così. Confesso di aver perso l’interesse nell’accumulo di conoscenza, nella fame di sapere, di acquisire nozioni. Per me, adesso, qualcosa che non “guarisce” in qualche modo, non risana in qualche aspetto, non interessa proprio, non interessa più.

    Grazie!

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  1. […] del pensiero, una rivoluzione copernicana, ad ogni livello. Un processo che è innegabilmente, anche una guarigione, da ogni errata interpretazione, da ogni male-dizione assorbita inopinatamente, su me stesso e sul […]

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