La morte: il vero motore della vita

Commenti

  1. La negazione della morte porta in ultima analisi alla negazione della vita (A-MORTE) e dell’amore (AMOR-TE). La nostra società nichilista, fondata sul progresso tecnico-scientifico ha aspetti positivi ma nello stesso tempo tende a far naufragare l’uomo nell’alienazione di questo mercimonio. Questo modello economico che tende a schiacciare l’umano forse non avrebbe le basi cosí solide se la morte non fosse stata volutamente negata come qualcosa che intralcia l’evoluzione-e-mercificazione-(involuzione?) della risorsa umana. Il fatto è che l’uomo pretende di essere libero a prescindere da Dio o di sostituirsi prometeicamente a Lui. Invece dovrebbe capire che puó dare un senso all’esistenza facendosi libero artefice della stessa ma non dimenticandosi mai che si è veramente liberi solo se con umiltá si sta di fronte a Dio come sua creatura che obbedisce (ob-audire) cioè che sa ascoltare L’Essere prima di domandare! Quindi perchè possa essere fatta la Tua volontà (Dio) e non la mia (ego), io devo imparare a fare spazio per l’ascolto della Parola!

  2. Giuliana Martina dice

    Il malessere sempre più insostenibile e l’illusorietà di una cultura che vuole rimuovere la morte segnalano in modo evidente la svolta antropologica che stiamo vivendo.

    Abbiamo straziante bisogno di cammini iniziatici in cui sperimentare che morire radicalmente a tutto quello che crediamo e pensiamo di sapere di noi stessi non è annientamento, ma possibile rigenerazione dell’identità nello spirito.

    Siamo ormai disincantati e sempre più affamati di parole capaci di vibrare nella carne e sanare i nostri corpi sofferenti, siamo chiamati perciò a decidere tra il nulla di senso e il senso del tutto come atto creativo.

    Restare nell’insensatezza è la fine sicura della specie umana e del pianeta, credere e sperimentare che siamo noi a dare senso alla vita e quindi alla morte può diventare penetrazione più consapevole nel gioco della creazione.

    Le parole di Bonhoeffer che hai citato, caro Marco, mi suonano adesso come un imparare a morire per imparare a vivere, per stare nella postazione in cui dare senso al mondo, per imparare a danzare sull’abisso.

    Proprio lo scorso venerdì, nell’incontro di gruppo a Milano, abbiamo meditato su queste parole, sempre di Bonhoeffer:

    “una cultura o formazione che al momento del pericolo crolla non può ritenersi tale. La cultura deve poter far fronte al pericolo e alla morte” (Resistenza e resa, pag.174)

    Questo video arriva al momento giusto e ci aiuterà ad approfondire.

    Grazie di cuore, Giuliana

  3. Grazie, cara Giuliana, sì, anch’io penso che queste riflessioni siano di grande importanza proprio ORA.
    Un abbraccio. Marco

  4. Riccardo Cecchini dice

    Grazie Marco ti questa tua ulteriore bellissima conferenza.
    Davvero la coscienza della morte ci qualifica come umani e forse la verà umanità consiste nel vivere l’oggi con la convinzione di poter morire domani: questo ci porterebbe ad avere un cuore nuovo per vivere diversamente il nostro rapporto con chi ci circonda e con il creato.
    Ho riletto recentemente il libro”la vita oltre la vita” di Raymond Moody ed è davvero consolante sapere che morire sarà un po’ come togliersi un vestito troppo stretto!
    Anche di questo dovremmo avere sempre più coscienza!!!
    Grazie
    Riccardo

  5. Grazie a te, caro Riccardo, sono felice di risentirti! Un abbraccio. Marco

  6. Caro Marco, ascolto solo ora questo tuo intervento, che mi tocca nel profondo perché mi aiuta a dare un senso a esperienze che ho vissuto, a interrogativi drammatici che mi sono posta e a quell’aspettativa, che a volte mi appare così folle, di una novità assoluta, bella, imminente, a dispetto di tutto.
    Avrei voluto essere lì a farti una domanda.
    Tu sai che lavoro coi ragazzi e provo a scrivere libri rivolti a loro su temi sensibili. Il prossimo potrebbe essere sulle religioni e la spiritualità, se mai mi azzarderò a metterci mano…
    Quello che tu dici sul battesimo e sul valore iniziatico del messaggio del Cristo è roba per adulti, e neanche per tutti gli adulti. Come la mettiamo coi bambini e con l’istruzione religiosa che viene impartita nei vari catechismi (nelle parrocchie, nelle famiglie, nella scuola)? Come si fa a dire queste cose ai bambini? Chi è in grado di dirgliele? Qual è l’alternativa? Annacquare e appiattire un messaggio così dirompente? Attendere che siano adulti e abbiano fatto le esperienze che potranno dare un senso a ciò che scopriranno ? Trasmetterle in via indiretta, tramite la testimonianza di chi sta provando a viverle? Vedo un rischio molto grande nel far loro arrivare prematuramente la “buona notizia” in formato ridotto e magari distorto, ossia il precludere loro l’impatto folgorante di scoprirlo più avanti, nel mezzo dei loro dilemmi esistenziali. Come vedi, ho solo interrogativi. Mi dai almeno qualche spunto? Cosa dico ai miei nipotini e ai loro amici quando entriamo in una chiesa e vedono il crocifisso, quando celebriamo il Natale e la Pasqua, e così via? Parlo dei più piccoli. Quelli grandi purtroppo hanno già fatto cresima e comunione e non so che cosa gli sia rimasto…
    Grazie di cuore,come sempre

  7. Cara Mariella, poni domande davvero molto difficili e necessarie, entro le quali mi pare che già indichi giuste risposte. Penso comunque che il processo iniziatico possa essere trasmesso in modi emotivi e irriflessi nell’infanzia, e poi gradualmente venire compreso e vissuto in crescente consapevolezza. Ciao. Marco

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