Ripensare la conoscenza: dalla cecità alla visione

Commenti

  1. Caro Andrea,

    mi piace molto questo tuo post, mi piace molto e ci trovo motivi di deciso interesse anche per AltraScienza (l’ho appena “twittato”, https://twitter.com/laltrascienza/status/1098578166216568832). In questa riflessione a tutto campo infatti non poteva non entrare anche la scienza – e la bellissima frase di Wittgenstein, è un grande omaggio alla scienza stessa e non una negazione, come si potrebbe superficialmente pensare (ed infatti tu la interpreti nel modo che anche secondo me è il più corretto). Perché liberare la scienza dalle false pretese è farle un grande favore, renderla leggera e semplice, fruibile con libertà e gioia: sgonfiata dalla presunzione di doversi articolare in ambito messianico (no, la salvezza dell’uomo non viene dalla scienza), ritorna agile e snella. Si ibrida con tutto perché è differente da tutto. Ritorna a giocare.

    L’iper-specializzazione è quello che rende estraneo il tesoro del sapere all’uomo “comune”, ma in realtà, come ben dici, è un furto che raggiunge e coinvolge tutti, anche gli stessi specialisti, che si trovano circondati dall’ignoranza di tutte le discipline che non sono il proprio campo di indagine. E’ infatti una modalità percettiva diversa che dobbiamo ricercare, una modalità inclusiva e una semplicità di “secondo livello” che ci renda familiari con tutto, per cui, di nuovo, niente ci sia veramente estraneo.

    E’ vero, le direzioni sono state profeticamente individuate già nel novecento (Jung è una citazione d’obbligo, in questo caso), ma siamo indietro rispetto alle stesse nostre scoperte: restando in campo scientifico, abbiamo delineato un quadro concettuale impressionante e davvero dirompente come la meccanica quantistica, ma nel pensiero siamo quasi totalmente meccanicistici, al nucleo, quando siamo “nudi” delle nostre pretese, siamo “uomini dell’ottocento”, ancora – come ci ricorda Gaber nella bellissima canzone “Un’idea”

    Ma questa rivoluzione urge, e nuovi panorami si aprono sul nostro cammino. La cultura “allegra, dinamica, appassionata e umana” è più che mai necessaria. Ma è qui, è qui, in ogni respiro nuovo, già fiorisce.

    Già nasce, ora ed ancora.

  2. Ciò che mi sembra particolarmente grave è l’ effetto antropo- centri-fugo della frammentazione della conoscenza, cioè, trovo che il vero problema sia che la conoscenza, così come la intendiamo, porti l’uomo sempre più lontano dal suo centro.

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