Tsunami umano: catastrofe o liberazione?

Commenti

  1. Marco Guzzi dice

    Bel testo, Giovanna, davvero un testo che fa riflettere.

    Siamo così impreparati a vivere questo tempo in modo adeguato, positivo, e creativo.
    Siamo come schiacciati e paralizzati, imbolsiti tra conforts e senso di impotenza.

    Speriamo di non essere troppo brutalmente svegliati…

    E sai quanto anch\’io creda nella risposta dei piccoli gruppi di autotrasformazione, quanto non creda alle risposte ideologiche, che proiettano sempre al di fuori ogni responsabilità, ogni colpa.

    Mi chiedo a volte: ma quando diverrà cultura comune questa prospettiva così evidente già per tante persone? quando potremo avere anche programmi televisivi e radiofonici che si occupino direttamente del nesso tra sfide storico-planetarie e processi di trasformazione interiore? Possibile che dobbiamo sempre sentire prospettive unilaterali, materialistiche in definitiva?

    Con affetto
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  2. grazie Marco. A me pare che dell\’entità del problema ci sia oggi pochissima consapevolezza perchè la paura è troppo grande e si preferisce agirla con strategie difensive anziché fermarsi a riflettere per capire.
    La lettura attenta delle \"noiose cifre\" mi ha aperto gli occhi sull’entità del problema e mi ha fatto comprendere che ogni strategia respingente è miope e antistorica.
    Su 6,7 miliardi di popolazione mondiale attuale 3 miliardi sono povere, come si può pensare che vedendo noi nel benessere non verranno a prendersi ciò che gli spetta? Ciò che non siamo disposti a condividere in buona pace ci verrà comunque sottratto con la violenza.
    Una marea umana spaventosa si riverserà nei nostri Paesi nei prossimi anni e non saremo in grado di respingerla neanche con raffiche di mitragliatrice. Potremo solo attrezzarci ad accoglierla. Ma occorre fare in fretta ad attrezzarci, altrimenti ci travolgerà tutti.
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  4. Paola Balestreri dice

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  6. Grazie Renato, grazie Paola, per i vostri preziosi contributi.

    Io penso che è compito di ciascuno che si è risvegliato alla consapevolezza del momento presente svegliare gli altri perché è un po’ come se, narcotizzati dalle varie droghe che assumiamo quotidianamente, dormissimo su un vulcano pronto ad esplodere.

    Come attrezzarsi?

    Queste alcune idee che mi vengono al momento, ma si potrebbe aprire tra gli amici visitatori del sito un forum sul tema.

    Cosa fare?
    1° Livello: Informare: far conoscere le ‘cifre’, la dimensione del fenomeno e le proiezioni nel prossimo futuro. Informare però non in maniera astratta, fredda, ma lavorando contemporaneamente sulle emozioni, soprattutto la paura che porta a non voler sapere/vedere e a re-agire.

    2° Livello: Proporre itinerari formativi semplici che aiutino le persone a prendere consapevolezza del colore dei loro pensieri, delle emozioni che le ‘agiscono’ e divengono sempre più spesso proiezioni esplosive.

    Chi lo deve fare?
    -Soprattutto le agenzie educative: le scuole, le parrocchie.
    Il lavoro di consapevolezza dovrebbe fare parte integrante dei programmi scolastici e della formazione di fede.
    Insegnanti e catechisti in primo luogo dovrebbero ‘ri-formarsi’.

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  7. Alessandro Ciarella dice

    Riflettendo dopo aver letto il tuo post Giovanna (come non farlo) e i commenti , sono ritornato alle considerazioni che facevo qualche giorno fa :
    quale percezione abbiamo della presenza in noi dello spirito di vita , fonte inesauribile delle nostre esistenze ?

    La mia povera esperienza indica che fuori da certi ambienti, dove si incontrano persone in ricerca vera e coraggiosa (rimettersi in gioco riconoscendo gli errori e le deviazioni che ci abitano ) si cozza contro un muro enorme e robustissimo muro di insensibilità.

    Tempo fa ero parte integrante di questo muro e le dinamiche di vita (sopravvivenza) di allora non includevano analisi profonde .
    Tutto corre seguendo la corrente ed i ritmi di una quotidianità che considera solo ciò che può vedere, udire e toccare, il resto non è reale ma immaginario.

    Ma

    Ecco che saltano fuori i problemi, fatti concretissimi che ci coinvolgolo e a volte travolgono ai quali non riusciamo a dare risposte .

    Ecco che siamo obbligati ad andare in profondità, gli effetti ci travolgono ma non si possono arrestare se non intervenendfo sulle cause.

    Ecco che scendendo nell\’analisi profonda delle cause ci accorgiamo (se siamo sinceri con noi stessi ) che anche noi avremmo reagito così, se avessimo vissuto le esperienze degli altri.

    Ecco che prendiamo coscenza dell\’esistenza di un sottilissimo quasi impercettibile filo che unisce tutti noi permettendoci di esistere, siamo tutti in relazione con eguali potenzialità, noi fortunati ne siamo quindi responsabili

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  8. Caro Alessandro è verissimo quello che dici: cozziamo contro un muro di insensibilità.

    Ma io ritengo che l’insensibilità sia spesso solo una forma di difesa contro qualcosa che non si riesce a contenere e quindi a controllare, davanti al quale ci si sente impotenti e che suscita sentimenti di paura e di angoscia.

    L’io ego-centrato vive nell’illusione dell’onnipotenza, non può vivere perdita di controllo, preferisce rimuovere, negare il problema, o ridurlo a dimensioni controllabili. Non può allargarsi a grandi dimensioni, alla lettura della ‘storia’, si ferma alla piccola ‘cronaca’ quotidiana e cerca piccole soluzioni a fatti di cronaca.

    In realtà la domanda che poni; “Quale percezione abbiamo della presenza in noi dello Spirito di vita, fonte inesauribile delle nostre esistenze?” credo sia a fondamento di tutto.

    Io ritengo che le comunità cristiane (soprattutto le parrocchie per il loro legame con il territorio) siano oggi chiamate a una grande sfida, a dare concreta testimonianza della presenza dello Spirito attraverso uno stile di vita improntato alla fraternità e alla condivisione, secondo il modello delle prime comunità cristiane.

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  9. iside fontana dice

    Pensare alle cifre degli uomini in migrazione è impressionante.
    Se ci penso con il mio piccolo ego, mi spavento e mi viene istintivamente da arroccarmi dentro il mio fortino, per difendere ciò che (presumo) mio. Il cuore però, che tenta di respirare più profondamente e di avere uno sguardo più lontano, sente un’umanità immensa, dentro sofferenze ingiuste. Non è questione di merito, né nel bene né nel male. Ha molto di più a che fare con una ridistribuzione fraterna di ciò che la vita ci offre (in abbondanza), con il donarci ciò che abbiamo.
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  10. Domenico Parlavecchio dice

    .. noiose perchè

    – non danno alcune profondità all\’informazione (profondità leggasi come consapevolezza della disperazione e del dramma delle persone)

    – perchè "non ci toccano"

    – perchè sono sempre le stesse anzi peggiorano. Ho frequentato una ong (organismo non governativo) per sei anni dal 1992 .. e le cose sono cambiate, anzi ilsistema di produrre povertà si è strutturato meglio (anche se adesso incomincia a sfrangersi ..)

    Voi forse non sarete forse d\’accordo.

    “Bisognerebbe favorire al massimo tutto ciò che aggrega. Mi rendo conto che non è facile. Ma occorrerebbe rifare le associazioni, i sidacati, i partiti, le parrocchie, tutto ciò che può ricreare un’identità positiva. Un po’ alla volta sono venuti a cadere tutti i luoghi e tutte le forme che permettevano di fare qualcosa con gli altri.”

    Estratto dell’intervista al prof. De Rita (sociologo) dal Corriere della Sera del 02/06/2008 a proposito del discorso del Presidente Napolitano sulla “regressione civile”.

    _____________________________________________________

    Immaginare un nuovo mondo .. significa immaginare come vivranno le persone e cosa faranno …..

    . quali saranno i sogni da realizzare insieme ….

    .. da che cosa liberarsi …..

    Potrebbe essere proprio Internet il facilitatore di queste connessioni.
    Io ne sono convinto!

    Chi usa la Rete sa quanto permetta di “fare qualcosa con gli altri”…

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  11. letta

  12. Carissima Antonella, grazie per avermi portata a riflettere che celebrare la giornata della memoria è soprattutto un rivivere in prima persona il dolore di quanto è successo (tu hai usato espressioni forti: mi si torcono le budella, sono nel lager) e impegnarsi a diventare autentici costruttori di pace nel mondo, praticando l’accoglienza calda dell’altro, del diverso da me.

    Nei nostri gruppi impariamo a fare esperienza di questa calda, sorridente accoglienza, accoglienza di noi stessi innanzitutto, delle parti cui non riconosciamo diritto di cittadinanza, che consideriamo straniere, diverse, che condanniamo a vivere isolate nei ‘campi di concentramento’ del nostro cuore .

    Attraverso questo paziente ed umile lavoro di accoglienza e integrazione delle nostre parti alienate, scisse, possiamo nutrire la speranza di un’umanità capace di accogliere e di vivere in pace.

    Grazie ancora Antonella, un forte abbraccio. giovanna
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