La cura dell’orto

Commenti

  1. Ascoltare le vostre parole in "darsipace".
    Lasciarsi fare da esse.
    E’ come essere guidati…
    presi per mano "in cammino".
    Grazie
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  2. Le parole di Enzo Bianchi sono genuine come il … pane. Del resto, è un buon apprendista: Gesù stesso abbondava nella predicazione di esempi tratti dal lavoro agricolo. Anch’io quest’anno per la prima volta ho piantato un orto, da cui mi attendo ampie soddisfazioni morali e materiali:)! Ma in realtà mi sento già ripagato dagli sforzi fatti. Non sorprende che l’orticultura sia suggerita come pratica psicoriabilitativa per persone con disagio mentale grave. Il "raccolto" è infatti uno stranissimo ibrido di sforzi e cura umani e "arcani" della natura (tali almeno per me profano), su cui nulla può il coltivatore. Gli uni e gli altri si implicano e richiamano vicendevolmente. Un’altra metafora della vita interiore che a me piace molto è la campana tibetana. Non so se la conoscete: è una ciotola di lega di bronzo, molto simile a un mortaio, con un pestello di legno rivestito di feltro. Strofinando in modo circolare e costante il feltro sul bordo della campana, si libera un suono molto intenso e suggestivo. Ogni campana vibra in modo proprio e ha propri armonici; quanto più il palmo della mano che regge la campana si apre e distende, lasciandola libera di risuonare, tanto più il suono ottenuto è rotondo, pieno, ampio e persistente. Tuttavia dobbiamo "lavorare" molto intorno alla campana, girando e rigirando col pestello, prima che questa liberi il suo inconfondibile suono. C’è un verso di una poesia di Marco Guzzi, di cui non ricordo il titolo, che dice "stondato a viva forza", a proposito del lavoro di Dio che genera l’Uomo. Ecco, così mi pare facciamo nella e della nostra anima. Come quando concepiamo un figlio.
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  3. Grazie Antonio, veramente incredibilmente bello!
    Sono un po’ senza parole anche perchè, io per almeno dieci anni ho "faticato" con un orto.
    Poi quando mio marito è andato in pensione gliel’ho ceduto.
    Ma proprio messo tra le mani.
    Per un paio d’anni non ne ho più voluto sapere.
    E’ una tale fatica. La terra è così bassa… .
    Ora un poco, ogni tanto ricomincio un piccolo avvicinamento.
    Anche questo libro di Enzo Bianchi, ce l’ho in casa da almeno tre mesi ed ancora "fatico" a prenderlo in mano. Pradossalmente preferisco Yoga e… che mi è molto ma molto più ostico sia da leggere che da capire.
    Chissà perchè?
    Eppure Gianni l’ha letto d’un fiato! il pane di ieri.
    Ci sarà un perchè! Credo sia la fatica della vita.
    Quella fatica fatta dal corpo, da quel corpo che sente nella carne la fatica, vissuta come un dovere e senza gioia.
    Io mi rifiuto di faticare ancora a vivere.
    "di fatica inutile non ne farò mai più per vivere, soprattutto per vivere"
    … e sai checosa sto scoprendo che si fatica solo a morire, non a vivere.
    Non mi è ancora molto chiara questa intuizione ma: "Vivere si vive nella gioia, si è semplicemente portati "nella vita"…
    E’ "a morire" che facciamo fatica."
    Mi è necessario dormirci sopra ancora un po’.
    Rosella.
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  4. Ho letto e riletto questo libro di Bianchi, lo trovo ricco di umanità e di fede.
    Mentre lo leggevo mi sentivo trasportare dalla narrazione pulita ed efficace dentro un tempo indefinito fatto di passato, presente e futuro ben armonizzati.

    Nel capitolo Come dire “Ti voglio bene” Bianchi parla della tavola come luogo privilegiato per imparare, per ascoltare e per umanizzarsi.
    Mi è venuto spontaneo associare alle sue parole l’ esperienza di partecipazione a questo blog e mi sono tornate le immagini del banchetto di internet disegnate da Rosella e il suo invito alla condivisione di uno “spago”.
    Questa tavola fatta sostanzialmente di parole, che diventano cibo cucinato e condiviso , è luogo di comunione, di incontro, di amicizia e credo che pur nelle nostre diversità ciò che ci accomuna sia l’appetito.

    Partecipare a questa tavola mi aiuta a sentire in profondità che “l’appetito dell’uomo è infinito perché non appartiene al corpo ma all’anima, che il cucinare deve sempre corrispondere a un’attesa e che la tavola richiede un atto di fede da parte di chi cucina e da parte di chi mangia”.

    Cara Rosella, io non ti conosco e spero di vederti a Eupilio, ma desidero comunicarti che questo libro mi ha riportato l’immagine che mi sono fatta di te e mi sorprende che tu fatichi a prenderlo in mano. Trovo, comunque, bello tutto questo.
    Ti abbraccio, Giuliana

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  5. A proposito della vita interiore che deve essere continuamente coltivata ed irrigata…vorrei ringraziare Marco e Paola innanzitutto e tutti gli amici cari con cui condivido il percorso dei gruppi "Darsi pace" ; il ringraziamento riguarda i tre giorni a Santa Marinella trascorsi di recente.

    Ho ancora nel cuore gli sfoghi delle persone, le meditazioni insieme, la pace e la solidarietà che si respirano in quel contesto.

    Tutto questo aiuta ad andare avanti a vedere i piccoli ostacoli quotidiani con uno sguardo diverso affrontandoli meglio, aiuta a capire che ogni tanto bisogna fermarsi e ascoltare, fermarsi per dedicarsi al proprio orticello. Che beatitudine!

    Grazie ad Antonietta per il bellissimo brano! Un abbraccio a tutti Gabriella
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  6. Sono rientrata da poco dalla campagna dopo avere aiutato mia mamma a interrare le ultime piantine di pomodoro perché quelle piantate precedentemente sono servite da “insalata primaticcia” a una colonia di storni che ha nidificato sul tetto di casa, volatili che in questo periodo sono particolarmente voraci (forse hanno i piccoli da nutrire).
    Nell’orto, a volte si deve ricominciare da capo, perché capitano eventi imprevisti .
    Lo scorso anno, in questo periodo, ci fu una grandinata che maciullò l’80% delle verdure.
    Ci siamo rimboccate le maniche ed abbiamo cercato di recuperare e ripiantare quello che era ancora possibile.
    Pazienza, perseveranza, accettazione degli eventi naturali. Ma anche dialogo, stimolo, solidarietà e condivisione, si perché l’orto è utile anche a rafforzare i rapporti con gli altri, i vicini con i quali ci si confronta, si apprendono nuove tecniche, ci si scambia consigli per nuovi semi, per piantine più produttive.
    Si gusta la soddisfazione di avere la fava già matura quando gli altri ancora attendono e se ne offre un po’ così come faranno gli altri con le zucchine e i fagiolini seminati in zone più soleggiate.
    Si torna ad alzare gli occhi al cielo e ad aspettare la luna per le semine.
    Molta fatica … perché la terra è bassa … ma ritorno a ritmi umani e naturali.
    letta

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