L’ira di dio

Commenti

  1. Cara Gabriella,
    ringraziando “il cielo” l’ira di Dio non mi ha mai avuto in suo potere.
    Forse a causa di mio padre che era di indole accogliente e magnanima.
    Razionalmente quindi, e non emotivamente (ma si può “parlare d’ira” razionalmente ???) penso che noi diamo troppo peso a ciò che è giusto o sbagliato, bene o male, senza considerare che il bene ed il male stavano su di un unico albero.
    Nell’ esperienza meditativa, quando ci offriamo allo Spirito non sentiamo come una profonda gratitudine pacificante proprio nello sciogliersi (spesso in lagrime di consolazione) del nostro nodo?

    L’ INTEGRITA’ è assenza di male o integrazione che nel PER DONO ne commuta la sostanza? Un po’ come accade all’Ostia nella consacrazione.

    “L’ira di Dio” non mi ha chiuso nella paura di Lui, eppure io sperimento l’ira in me.
    Che sia questa “ira umana” che le generazioni hanno proiettato su Dio, come sugli dei nell’Olimpo?
    Così come per quella pietra d’inciampo che è la “giustizia di Dio” che OSA remunerare l’operaio della prima e dell’ultima ora con lo stesso UNICO denaro?
    Ti abbraccio
    Rosella

    p.s. il brano… prima o poi… si sa… lo sentirò anch’io.

  2. Grazie Rosella per queste parole illuminanti. Personalmente sperimento in alcuni meravigliosi istanti, come nell’abbandono durante la meditazione ma anche quando prego con il cuore in chiesa, che il Signore è solo Padre pieno di amore e nient’altro. Forse è l’ira umana (e la violenza) che dovremmo temere molto di più. Un abbraccio Gabry

  3. Cara Gabriella,
    bellissimo questo intervento che hai proposto sia per il richiamo alla superba composizione di un così grande ed illuminato maestro che per gli accostamente e le riflessioni aggiunte. In particolare mi ha molto colpito la citazione di Emilio Crispo che così bene aderisce alle letture che mi accompagnano in questo periodo (S. Rinpoche)e a quello che sperimentiamo costantemente nel lavoro incessante all’interno dei nostri gruppi. Non c’è alcuna separazione tra l’umano ed il divino, o meglio è solo nella nostra mente, e l’opportunità che ci offre questa vita su questa terra, di confrontarci e conformarci, con il divino è straordinaria, solo che nel quotidiano caos che ci circonda spesso non ce ne accorgiamo. Dunque ancora una volta la meditazione ci aiuta, ci soccorre e può condurci
    a poco a poco a dissolvere le immagini distorte di Dio che ci dominano, e che abbiamo sedimentato alimentando a dismisura il nostro ego.
    Ancora grazie.
    Marco F.

  4. Carissima Gabriella, grazie, un’ottimo spunto.

    Come sai l’ira di Dio non può essere pensata come un’azione distruttiva compiuta dal nostro Creatore, che, se utilizzasse il male anche a fin di bene, non sarebbe più Santo e Immutabile nella sua Bontà; quanto piuttosto come l’esplosione di una catena di effetti distruttivi, messi in vita dal nostro allontanarci dalla Solarità piena di Dio.

    L’ira di Dio è cioè quella crisi in cui il male accumulato si autodistrugge: è la resa dei conti per tutto ciò che ha voluto contrapporsi alla verità e alla vita, e che a un certo punto esplode.

    Questa esplosione può essere una crisi esistenziale o una crisi mondiale.

    In tal senso il Giorno del Signore, e cioè la manifestazione della Verità, porta con sé un elemento di ira, come tutte le Scritture ci ripetono, a partire dall’Antico Testamento.

    Già oggi il tempo finale/iniziale che viviamo manifesta da una parte elementi sempre più distruttivi (di ciò che è morto), e dall’altra elementi di benedizione per ciò che sta nascendo.

    Perciò il mio 3° libro di poesie si intitola: Figure dell’ira e dell’indulgenza (Jaca Book 1997).

    Aderendo al Cristo Nascente siamo, grazie a Dio, sottratti all’Ira, come dice san Paolo.

    Un abbraccio. Marco Guzzi

  5. Caro Marco,
    io non mi sento “preservata dall’ira di Dio” nel modo in cui ho compreso le tue parole.
    L’immagine che corrisponde meglio al mio modo di percepire “l’ira di Dio” è la parabola della zizzania: ” io ho nel cuore, quella zizzania che “vorrei” estirpare; ma che è bene io lasci a sè stessa (come lasciare che i morti seppelliscano i morti) mentre è opportuno che mi occupi di ri-conoscere (di essere riconoscente, grata del dono ricevuto) di quel piccolissimo chicco di grano che resiste alla propria morte, che stenta a radicare, germogliare e crescere… .
    Solo la vita nel chicco di grano, che s’irrobustisce ed irradia la spiga ha senso per me…
    Il LOGOS si è fatto carne ed abita TRA NOI RISORTO, è proprio necessario continuare a spiegarci che l’ira di Dio non è quello che noi percepiamo immediatamente ma un altra cosa?
    Qualcosa di semplice adatto anche ai bambini no?
    Non ce l’ho con te, ma son stufa di sentirmi dire che odiare la nostra vita (chi non odia il padre e la madre…), è un altra cosa dall’odio. Che l’odio e l’ira non sono quello che sembrano
    Se non abbiamo sufficienti parole per descrivere la realtà, BENE: inventiamone di nuove!
    ciao
    Rosella

  6. Grazie, Gabriella, per questo tuo post.

    Che fornisce anche l’occasione per riflettere su una certa percezione di Dio – il Dio cristiano, il Dio del Vecchio e del Nuovo Testamento – che non ci piace, e che vorremmo rimuovere.

    Nessuno di noi, credo, può dire nulla di Dio – cioè del Padre – visto che come dice Giovanni “Dio, nessuno l’ha mai visto”. Nessuno – che sia un semplice umano – può dire nulla di sensato o di esatto su Dio, che non sia quello che di Lui ci ha manifestato Gesù Cristo.

    Il problema è che le Sue parole – le parole di Gesù sul Padre – non sono ovviamente per noi assertive di qualcosa di preciso, di strettamente razionale, come noi vorremmo, ma si prestano a molte interpretazioni.

    In questa nostra inconoscibilità di Dio, c’è, appunto quello che sappiamo di Lui dai profeti e soprattutto di Gesù, e certamente quel che ci ha rivelato Gesù di Lui, è che il Dio Cristiano vero, quello di cui parla Gesù, non assomiglia in nulla alla versione annacquata – alla ‘volemose bene’ – che oggi trova molti consensi anche presso molti che si definiscono ‘cristiani’.

    Una visione che dipinge Dio come una specie di Figlio dell’Amore Eterno, una sorta di divinità new age, rassicurante e neutra, sdolcinata in un ‘Amore’ completamente svuotato di senso.

    Il Dio di cui parla Gesù – almeno a leggere le sue parole riportate nei Vangeli – non è affatto questo.

    Un abbraccio a tutti.

    F.

  7. Caro Fabrizio,
    le tue parole mi interpellano, anch’io pur percependo un Dio Figlio dell’Amore Eterno, e pur credendo fermamente che la giustizia di Dio sia il perdono, ritengo tutto questo nel contempo: semplice e drammatico e condivido la tua opinione: non alla “volemose bene”.
    Si possono guardare or l’una or l’altra faccia di una medagna,come quelle di un albero (del bene e del male). ma la medaglia, come l’albero, resta UNA.
    Ritengo che il dono della Fede/fiducia come quello della Vita/vita sia elargito a tutti gli uomini. Tutti noi ci siamo fidati/affidati del grembo e delle braccia che ci hanno accolti.
    Il difficile è percorrere il transito terrestre immersi in un amore che si nutra di fiducia. In questo affido di fiducia all’altro, uomo come noi, diviso in sè stesso, nell’attimo stesso in cui è separato dalla sorgente. Cosmicamente, nell’eterno, da ciò che noi chiamiamo il peccato originale e, nella vita, dalla madre nel taglio del cordone.
    Insomma, praticare, fare esercizio di fiducia in Dio, fidandosi dell’uomo nell “io mi fido di te”, è esattamente come decidere di salire a Gerusalemme, per dare ai Sacerdoti del tempo la possibilità di agire la vita: Un ulteriore gesto di liberazione, offerto all’uomo, alla sua LIBERTA’ che è la sola condizione necessaria per poter (agire IL POTERE) amare.
    Cristo salendo a Gerusalemme ci ha definitivamente condotto nella Via dell’amore, fornendoci “il come” si debba porre all’altro l’ “io mi fido di te”.
    Lui, LA VIA ci ha indicato il limite del rischio a cui esporci: SENZA CONDIZIONI.
    In fondo Cristo ha incarnato il disegno del Padre, che era lo stesso identico disegno di sempre, ETERNO, quello che nella Bibbia ci viene descritto come “il paradiso terrestre”, nel quale: “Dio scendeva in mezzo a loro” e parlava loro FACCIA A FACCIA (?).
    Quello che ritengo essere un momento ESEMPLARE DELL’IRA DI DIO è ciò che fece esclamare al Centurione sotto la Croce: “Costui è veramente il Figlio di Dio”.
    ciao
    Buona giornata a tutti
    Rosella

  8. Sono d accordo con Fabrizio,San Paolo diceva”Il Vangelo da me annunziato non è modellato sull uomo;infatti io non l ho ricevuto nè l ho imparato da uomini,ma per rivelazione di Gesù Cristo”(Gal.1-11-12)che tradotto vuol dire giù le zampe dal Vangelo,lo stesso Cristo ha detto che è venuto non per abolire Iota unum,quindi in un epoca in cui i cristiani hanno messo le mani sul Vangelo per stravolgero e giustificare certi loro vizietti,credo fermamente nella Dies Irae prendere o lasciare chi crede sarà salvato e chi non crede sarà condannato.

  9. Cara Rosella, il problema è se desideriamo pensare fino in fondo i problemi, oppure no.

    A me pare che Gesù mostri all’uomo la non ambiguità di Dio: Dio non benedice da una parte, ma poi anche maledice, non dà la vita ma anche la morte.
    Dio in Gesù dà solo la vita, guarisce, non dà malattie, perdona, non lapida l’adultera.
    E questo capovolge l’immagine di un Dio che può maledire, uccidere, sterminare.

    San Giacomo scrive: “Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento”( Gc 1,16).
    Per cui da Dio non può venire alcun male: il Sommo Bene non può cambiare e produrre un male: il male è solo assenza di Dio, tenebra.

    E allora i nostri mali sono prodotti dall’allontanamento da Dio, e tendono per loro natura ad autodistruggersi.

    Questo ci permette di avere piena fiducia in Dio, perché non è lui a mandarci qualche croce per il nostro bene, ma anzi ci riempie il cuore di vita, affinché possiamo affrontare le nostre croci senza disperare.

    Un abbraccio. Marco

  10. Dimenticavo: questi pensieri si inverano solo nella meditazione e nello sguardo contemplativo: è solo lì, depurati fino in fondo dalle nostre proiezioni terrificanti su Dio, che partecipiamo senza dubbi alla piena Bontà dello Spirito.

    In tal senso nei nostri Gruppi la teologia non si distanzia mai né si separa dall’autoconoscimento psicologico, che ci purifica dalle immagini distorte di Dio/Padre/Madre/Aurorità, e dalla pratica spirituale in cui gustiamo la verità, in base alla quale l’unione con il Cristo Gesù “ci libera dall’ira ventura”(1 Ts 1,10), e questo già da ora…

    Marco Guzzi

  11. In quante omelie si accenna all inferno?La corrente di questo punto si rivela falsamente consolatoria.E un errore cocludere che la pastorale del terrore”sia il frutto tardivo e reattivo della Chiesa nell epoca della protomodernità”,in realtà il tema dell inferno,che è fondamentalmente scritturistico,non ricorre solo nei rigoristi,ma anche ad esempio,nei Padri apostolici,nel mite San Francesco di Sales o in Newman,perchè è un tema semplicemente cristiano.Nè ci si può limitare a dire che si tratta della spiritualità del”Dies Irae”,la venuta del Signore è anche la venuta del giudice,come risulta con ogni evidenza dalla scena escatologica del capitolo 25 di Matteo,senza dimenticare,poi gli agganci scritturistici del tema dell “ira divina”,che non è una invenzione post-tridentina,nè un mero topos veterotestamentario,in quanto è presente nel Nuovo Testamento ivi compreso l Apocalisse.

  12. Grazie Marco Guzzi, ma son così contenta di risentire Michele che non ho tempo per te.
    Ciao Michele, il tutto potrebbe succedere ad ogni momento. Per ora tutto O.K.
    Sai riguardo all’inferno, mi metti proprio il dito sulla piaga.
    L’inferno per me è forse l’unico “mistero” che mi rimane per soddisfare tutte le mie domande. E’ pur vero che “non ho visto Dio faccia a faccia”, ma lo Spirito d’amore che mi ha donato e che ora “custodisco” nel cuore mi basta.
    In un certo qual modo mi spiego il male, ma l’inferno proprio no! tutto ciò che posso fare è “pregare e sperare” che rimanga vuoto, perchè anch’io come te credo alla sua esistenza.
    Ciao.
    Buona giornata e
    “a presto”
    Rosella

  13. Fabrizio F. dice

    Credo che quel che dice Marco possa essere condiviso, a partire dalla venuta di Gesù Cristo, che rovescia quasi la percezione di Dio come è stata fino ad allora, per gli Ebrei.

    Chi legge il Vecchio Testamento, io credo, non può in nessun caso immaginare un Dio che non sia anche iracondo, e temibile, oltre che terribile (e non si tratta di interpretare, qui).

    Gesù ha rovesciato questo piano. Con la venuta di Gesù noi dobbiamo e possiamo pensare a Dio come lo descrive Marco nei suoi ultimi commenti, e dobbiamo e possiamo pensare il male non mai come dipendente dalla volontà – diretta o indiretta di Dio – ma come ‘privatio boni,’ cioè assenza di bene, allontanamento dal bene.

    Rispetto a Marco, però, io non riesco a liberarmi di una certa temibilità del Padre, che non mi sembra – almeno a leggere testualmente le parabole di Gesù Cristo – SEMPRE incline al perdono, alla comprensione, all’amore accogliente.

    Il PADRE descritto nelle parabole, mi sembra, è anche un Dio temibile. Ricordiamoci la parabola dei talenti: il poveretto dei tre che pensa di cavarsela sotterrando il proprio talento (proprio perché “ha paura del Signore, e sa che è un Signore severo”, parole testuali di Gesù), riceve una ricompensa che pare sproporzionata, e assai dura: Il Signore lo getta nella Geenna, là dove sono “lamenti e stridore di denti”.

    Insomma, ma forse è un problema mio, non sembra proprio una “passeggiata di salute”.

    f.

  14. “Egli ha in mano il ventilabro,pulirà la sua aia e raccoglierà il grano nel granaio,ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile”(Mt.3-16)Questo è il Vangelo. Soffro molto il fatto che ognumo modifichi il Vangelo secondo le sue proiezioni mentali,perchè a questa mia citazione,qualcuno ne proporrà altre all infinito,Gesù ha perdonato ma dice anche “Và e non peccare più”se no anche il peccato diventa routine,abitudine.

  15. ……… “modificare il Vangelo” ?????’?’?’?’?
    ….. chi ????
    Marco F.

  16. Carissimo Fabrizio, certamente la vita è una cosa seria, e non uno scherzo.
    Il problema teologico consiste nell’essenza di Dio, e in Dio, Padre, Figlio, e Spirito, non ci sono tenebre, come dice Giovanni, quindi non c’è possibilità di fare il male in nessuna forma e per nessun motivo.
    Il male nasce dalla separazione da Dio, e produce se stesso: anche l’inferno è creazione del male, non di Dio.

    Questa svolta nell’interpretazione del vangelo rinnova a fondo anche l’antropologia: se Dio fosse capace di punire con la morte chi non lo ascolta, allora anche l’uomo, fatto a sua immagine, potrebbe uccidere in nome di qualche legge. Ed infatti così è stato per millenni: abbiamo ucciso e torturato e sterminato, pensando di essere come Dio, di fare le stesse cose che fa Dio.

    Questo è finito.
    Si apre un tempo nuovo, in cui il Dio senza ombre di Gesù appare in nuova e terribile bellezza.
    Terribile perché Dio Padre non concede più alcuna giustificazione al nostro odio e alla nostra volontà di fare il male per qualsiasi motivo.

    Un abbraccio. Marco

  17. Cara Gabriella
    grazie per questo post che suscita pensieri molto confusi in me. Vengo da un viaggio dove ho visto il volto arcigno della Chiesa, uno sguardo severo e triste sul mondo,che ha finito per inquinare dentro di me anche le cose belle che comunque ho visto e sentito.
    No, non voglio credere a un Dio che per il mio bene mi fa del male. Voglio credere, come dice Marco, che sarò sempre accolto dal Signore, in modo gioioso e amorevole, il che non significa credere in un Dio veltroniano che alla fine chiude un occhio su tutto, ma scoprire con Lui e in Lui il mistero affascinante di questo creato, che ha regole pensate per un equilibrio superiore, regole da apprendere, certo, ma un mondo nutrito soprattutto di libertà e dunque del rischio dell’errore, e con l’errore anche della possibilità di scottarsi. Ma il fuoco, quello il Signore ce lo ha dato solo per illuminare i nostri passi. E ogni volta che ci bruciamo, soffre con noi.

  18. Tutti dovremo un giorno comparire davanti al vero Gesù Cristo giudice di tutta la terra,e non davanti a quello partorito dall immaginazione di qualche ateo,agnostico,pagano o falso cristiano,il nostro destino eterno dipende dal rapporto che avremo avuto con lui.”Mi meraviglio di voi,Dio vi ha chiamati a ricevere la sua grazia donata a voi per mezzo di Cristo,e voi gli voltate le spalle per ascoltare un altro messaggio di salvezza.In realtà un altro non cè,esistono soltanto alcuni che vi confondono le idee.Essi vogliono cambiare il vangelo di Cristo.Ma sia maledetto chiunque vi annunzia una via di salvezza diversa da quella che io vi ho annunziata:anche se fossi io stesso o fosse un angelo venuto dal cielo.Se cercassi di piacere agli uomini non sarei servo di Dio”.(Gal.1,6-9)

  19. Aiuto, i vostri commenti sono una gradita valanga che mi coglie impreparata….devo riflettere e poi sapere che Michele è ancora tra noi, che bella sorpresa!

    Allora, io ho trattato l’argomento non perchè credo in un Dio iroso, ma perchè non riesco sempre a liberarmi da questa immagine che mi è stata inculcata nell’infanzia. Con ciò concordo con Fabrizio e ancora una volta faccio riferimento alle parole di Emilio che ….fra tutti noi è colui che è più vicino al Signore (io lo credo fermamente).

    Emilio parla di un “Dio rigoroso e coerente; nel suo rigore è compresa anche la misericordia e la remissione dei peccati”. Insomma questa figura non mi sembra assomigli ad un Dio facilone!
    Nel suo rigore Dio (nella persona di Gesù) dice anche di non peccare più! Però, Michele, la vedo più come un’esortazione per il nostro bene anziché un’imposizione minacciosa.

    Mi unisco alle parole di Marco G. quando dice che il male nasce dalla separazione da Dio (per nostra volontà) ed alle parole di Massimo…”Dio soffre con noi”!

    Benediciamo questo Dio, diceva Etty Hillesum, ha bisogno di noi!
    Un abbraccio a tutti Gabriella

  20. Carissima Gabriella, ti daremo il premio per la Redattrice che sollecita il maggior numero di commenti….

    Evidentemente sai cogliere alcuni punti dolenti e controversi con grande perspicacia.

    Grazie, un abbraccio.
    Marco

  21. Troppo buono Marco….nessun premio, l’importante è condividere; per me è una grande soddisfazione, pur non ritenendomi sempre all’altezza. Devo dirti la verità: spesso non rispondo agli interventi tuoi e di altri illustri 😛 non perchè poco interessanti, anzi..,ma perchè credo che qualunque cosa io scriva sia banale; e così forse si comportano altri nostri amici. Questo vuol dire invece che dobbiamo sentirci sempre a nostro agio, almeno qui, purchè si parli con il cuore. Baci a tutti

  22. Fabrizio F. dice

    Caro Marco,

    ti ringrazio di cuore. E condivido, dal profondo, ogni parola che hai scritto (in modo ancor più particolare, le ultime due righe del tuo commento).

    Un abbraccio.

    f.

  23. Evviva la banalità…a volte.
    La comunicazione telematica possiede una sua intrinseca fluidità, e rapidità.
    Sollecita il flusso, perciò, l’immediatezza.
    Questi caratteri producono il più delle volte superficialità, in quanto l’essere umano non è abituato ad essere spontaneamente profondo, e profonda-mente leggero.

    Speriamo di guadagnare ogni giorno di più questa fluidità, che è essenzialmente spirituale, e quindi ad interagire anche qui con scioltezza, brio, divertendoci, insomma, ma appunto come fa lo Spirito che crea.

    Questa canalizzazione vitale richiede, come è ovvio, l’affievolimento delle nostre corazze, durezze, paure, immagini di perfezione, rigori (più o meno “mortis”), blocchi infantili, paralisi mentali, emotive, caratteriali, e così via….

    L’amore, in altri termini, di cui la comunicazione è solo un aspetto, scorre lungo canalizzazioni molto ben svuotate.

    Ciao. Marco

  24. … cara Gabriella, come citi tu:

    beneDICIAMO questo Dio ha bisogno di noi…

  25. Alessandro Drago dice

    Grazie Gabriella per questo aver sollevato un argomento così sentito da tutti.
    Vorrei ritornare al testo del Requiem e al passo che mi colpisce maggiormente:

    Recordare, Jesu pie,
    quod sum causa tuae viae

    Ricorda, o pio Gesù,
    che io sono la causa del tuo viaggio;

    Tutto si gioca qui. Perchè Dio ha così bisogno di salvarci?
    Mi sento di rispondere che, la salvezza dell’uomo è il completamento della Sua opera.
    Dobbiamo renderci conto di quanto noi siamo importanti per Lui.

    Riguardo all’inferno, quando ero ragazzo, il mio medico steineriano mi disse: “l’inferno è una scintilla del nostro dolore infruttuoso”.
    Credo che esista l’inferno, ma popolato da chi, come dice Marco, non pensa fino in fondo, non mette in campo tutte le possibilità che Dio ci ha donato e ci dona in continuazione.
    Un abbraccio
    Alessandro

  26. Grazie Alesandro del tuo contributo, è incredibile che ieri per un attimo ho pensato la stessa cosa: convinta come sono che dipende molto da noi, mi sono detta perchè Dio soffre e si affanna per la nostra salvezza? Ci dà delle opportunità potrebbe solo attendere la nostra decisione. Tu mi hai risposto e poi non potrebbe essere altrimenti se Lo sentiamo nostro Padre, e Lui ci considera figli suoi. Ti abbraccio Gabriella

  27. Su questo tema avevo trovato particolarmente illuminante “Il timore di Dio” di Pierangelo Sequeri (Vita e Pensiero 1996).
    Mi aveva molto colpita l’interpretazione dell’autore riguardante le parabole del giudizio, quelle cui fa riferimento Fabrizio F. e che in effetti hanno sempre inquietato anche me. Poi ho letto questo libro e alla prima lettura confesso che ho trovato l’interpretazione dell’autore un po’ audace. Poi ho iniziato a rifletterci sopra e piano piano sono entrata nella sua prospettiva. E mi ha convinta. Non vorrei fare un cattivo servizio ad un teologo che apprezzo riportando qui solo alcuni passaggi della sua proposta. Ma forse ne vale il rischio.
    Sequeri fa notare che Gesù apre la sua vita pubblica con la scena originaria di un Dio dedizione incondizionata per l’uomo (Mt 11,5-6), i suoi gesti sono solo di cura e parte con le parabole del regno (la dracma, il tesoro, il seme). L’incontro con i suoi oppositori, con coloro che non accolgono la sua rivelazione di un Dio esclusivamente dalla parte dell’uomo lo portano a cambiare registro per mettere l’uditorio di fronte allo scacco che si aprirebbe se Dio fosse ambivalente e cattivo come invece essi lo propongono in nome della giustizia ’ortodossa’. Gesù allora racconta le parabole del giudizio (i talenti, il servo astuto…) in cui “il peso della nostra interpretazione corrente si appoggia pressoché interamente sull’aspetto formale del rapporto fra impegno dell’uomo e compiacimento di Dio. Ciascuno riceve delle opportunità in base alle quali deve produrre dei risultati: se li realizza, riceve la benedizione di Dio, altrimenti verrà giudicato e condannato.”
    Con il nostro ordinario modo di interpretare le parabole del giudizio “la giustizia e la grazia entrano in conflitto” “Con lo sforzo di condurre alla coerenza da noi desiderata la parabola, la nostra cattiva fede viene alla luce, attraverso lo sconcerto e l’inquietudine che essa deve suscitare.”
    “…se riflettiamo sull’evangelo di Gesù e, di fronte ai problemi di coerenza del testo [parabola dei talenti], finiamo per rinnovare la decisione di rimanere attestati nel campo della scena originaria, noi giungiamo ad oltrepassare totalmente questa parabola nella direzione dell’annuncio di Gesù.” “Se però noi nascondiamo la moneta che era venuta alla luce per paura del padrone (mentre il Signore ha già promesso il centuplo per ogni moneta che mettiamo a disposizione dell’evangelo), allora la parabola giudica di nuovo duramente la nostra stupidità… e noi rientriamo nel campo dell’ambivalenza di Dio.” Uscire dalla parabola significa scoprire “di non avere bisogno della sua struttura rappresentativa e questo accade se appunto (ri)formuliamo dentro di noi, provocati dalla voluta inadeguatezza delle associazioni teologiche che essa genera in noi e rivolgendo lo sguardo alla rivelazione di Gesù, la nostra convinta e fiduciosa adesione all’immagine dell’abbà.” Le parabole del giudizio non vengono però cancellate: “Nella Scrittura il testo della parabola rimane e mi impegna a rimanere attivo, in anticipo sulla mia inevitabile debolezza, nell’esercizio destinato alla riconquista del senso originario dell’evangelo.”
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