Se anche il capitalista scopre la meditazione

Commenti

  1. antonietta dice

    Non sono una veterana di pratiche meditative, ma da quando cerco di frequentare con più assiduità questi spazi interiori la prima reazione quando entro in ufficio è: sono in una gabbia di matti! La maggioranza delle persone mi sembra “agita” da qualcosa di esterno, mi sembra che i comportamenti siano tutti una catena di stimolo-reazione, senza spazi di libertà. Poi però, nei contatti personali, quando saluto le persone, le guardo negli occhi, o ci parlo brevemente anche solo per motivi di lavoro, sento una specie di sofferenza, che a volte si traduce in fuga dall’altro a volte in bisogno impellente di raccontarsi, e mi convinco sempre di più che abbiamo tutti un disperato bisogno di ritrovare il nostro centro interiore, di ritrovare una direzione per uscire da questo smarrimento. La strada è durissima, e io me ne sto accorgendo. Mi sentivo molto meglio quando non avvertivo questo bisogno e quando facevo allegramente il “surf” su tutto quello che mi circondava, aspettando il week-end o il prossimo periodo di ferie. Ma il gioco non è durato a lungo. Nel mio caso sono stati problemi di salute che hanno “rotto” il meccanismo, ma forse si stava già rompendo senza che io me ne rendessi conto. La sfida, per quanto mi riguarda, è continuare la propria umile frequentazione di spazi interiori e contemporaneamente non abdicare al proprio ruolo lavorativo e produttivo. Non sopporto proprio quelli che dicono “a me non me ne frega niente, che vada tutto alla malora, io curo il mio orticello interiore e disapprovo tutto quello che fa l’azienda, anzi se posso la frego!”. Per quanto piccolo possa essere il mio ruolo, sono grata della possibilità che ho di guadagnarmi da vivere con il mio lavoro, e voglio dare il meglio di me in quello che sono chiamata a fare, anche se per questo non avrò ulteriori gratifiche economiche e nessun altro tipo di riconoscimento. Così facendo mi sento spesso un elemento anomalo, assolutamente non integrato con gli aziendalisti puri, tutti numeri e risultati, e non riconosciuto dai disfattisti. La strada per acquistare spazi di libertà, dentro e fuori, è proprio dura e solitaria, ed è fatta di compromessi quotidiani tra quello che vorrei fare o essere, e quello che in realtà sono. Accettare questo e continuare nonostante tutto a salire e scendere dal mio “monte della trasfigurazione”, ogni giorno, con fiducia, questa per ora è la mia sfida.

  2. Caro Massimo, davvero molto interessante questa idea di un’ispirazione Zen dell’economia.
    Mi richiama alla mente la nostra idea della necessità di nuovi mistici-tecnici, che sappiano dare un diverso orientamento all’evoluzione terrestre, superando gli schemi miopi e ormai palesemente disastrosi dell’homo economicus, per come lo abbiamo inteso almeno dal ‘700 in poi.

    Certo non è facile immaginare un imprenditore “Zen”, e cioè sostanzialmente an-egoico e quindi in fin dei conti ben poco interessato ad una realtà fenomenica illusoria e comunque impermanente e insoddisfacente.

    La spiritualità cristiana dell’Incarnazione e del Nuovo Io cristificato, che può e sa penetrare nel tempo per trans-figurarlo da dentro, mi pare che ci offra un orizzonte spirituale più consono ad un’azione di trasformazione attiva della storia.

    Per il cristiano insomma la storia è una cosa seria e reale, una storia di salvezza, appunto, e quindi per lui è direi naturale, o almeno dovrebbe esserlo, diventare contemplattivo, con due tt, come suggeriva Tonino Bello.

    Fare questo nella nostra esistenza quotidiana è poi la grande sfida del XXI secolo.
    Ognuno di noi è l’alambicco di questa trasmutazione.
    Ogni luogo di lavoro può diventare lo spazio faticoso e grandioso dei nostri sforzi di immettere sensatezza dove vige l’assurdo, e dolcezza dove regna la violenza, la fretta, e l’insensibilità.

    Un abbraccio. Marco

  3. Carissimi Antonietta e Marco
    grazie per le vostre osservazioni.
    Mi colpisce il percorso paradossale dello spirito: oggi l’occidente (dove il sole tramonta), guarda a oriente (dove il sole nasce) per cercare in saggezze antichissime linfa nuova al capitalismo morente, mentre l’oriente trova energia vivificante proprio in quel capitalismo che per noi è morente.

  4. Carissimo mc, ecco la mia re-azione alla tua stimolante riflessione. Metto in fila i pensieri che mi sono venuti.

    D’istinto mi sono detto che economia – interesse – profitto non sono declinabili con il non-egoico, con il ni-ente (ricordi Marco G. a Santa Marinella?).

    Mi sono poi domandato se la scelta della “ricerca interiore” in ambito economico non sia una qualche trovata ulteriore dell’ego per cavare maggior profitto egoico.

    Tuttavia, se fosse anche così, si può scommettere che la pratica “seria” della ricerca spirituale maturerà sicuramente dei frutti non-egoici, farà lievitare energie nuove, trasformative.

    Infine, venendo alla tua domanda: sono d’accordo con Antonietta, che ringrazio per quanto ha davvero ben descritto.
    Il segreto è partire per primi, senza aspettare che siano i capi, o il collega, o il sistema a diventare migliore (secondo il mio parametro).
    Se qualche vento fresco ossigena ad ogni risveglio la mia anima mi è naturale liberare qualche boccata d’aria diversa dalla solita anidride carbonica che emetto e ricevo nei posti di lavoro.

  5. Grazie Corrado,

    anche io prendo queste notizie con le molle. Ma è questo che facciamo, no? Cerchiamo i segni del nascente laddove ci sono. Con tutte le ambiguità che sempre li accompagnano. Magari è soltanto una fragile cosmesi dell’ego, certamente il capitalismo alla canna del gas cerca di rendersi più presentabile. Ma almeno – mi pare – in certi ambiti provano a fare qualcosa che – comunque la metti – si presenta in chiave evolutiva. Come dici anche tu, sta a noi dargli l’ossigeno giusto perchè cresca nella direzione dello Spirito anzichè in quella dell’ego. A partire dalla nostra piccola partecipazione a questo sistema in ogni caso ancora capitalista, in cui siamo pur senza esserne parte attiva.

    Un abbraccio.
    M.

  6. alessandra dice

    Carissimi, la notizia mi incuriosisce e mi auguro che quanto prima questi corsi dilaghino e vengano proposti ai dirigenti, al posto dei corsi che adesso sono in auge.
    Corsi con i quali si vuole insegnare ai nostri dirigenti ad organizzare il lavoro del loro staff in modo sempre più efficiente e produttivo, nonostante il numero non vari.
    Corsi nei quali i dirigenti devono imparare a far sentire il loro staff come parte integrante di una grande famiglia, piena di vitalità e fieri di farne parte.
    Gli obiettivi sono sempre più alti, da raggiungere in un tempo esiguo…lo impone il business… e se i grafici e le percentuali dimostrano un ritardo….la soluzione è….lavorare, lavorare, lavorare…fino alle 10 della sera e se non si rispettano i tempi previsti dai piani stabiliti anche il sabato e la domenica…
    Si prova a far capire in modo “umano” che così non si può procedere, si lavora stressati…inseguiti…affaticati…ma per dimostrare tutto vengono chiesti numeri: giorni/uomo, ore/uomo, grafici, effort…
    Non si comunica in questo modo ed è difficile nella realtà quale quella che si vive a livello mondiale potersi opporre a questa forma di “nuovo lavoro”….
    ci rimane da condividere con gli altri colleghi lo scollamento che si sente dentro rispetto a questa realtà…sperando che la pratica meditativa, giorno dopo giorno, ci aiuti a liberarci dall’oppressione e dalla sofferenza che si avverte.

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