La fioritura possibile

Commenti

  1. Carissima Rosella, grazie per questa ‘modalità compromettente’ che stai realizzando nella tua comunicazione facendo del sito darsipace la tua palestra.

    In effetti il sito vuol essere proprio un luogo in cui sperimentare una modalità nuova di comunicare,
    un luogo in cui la parola risuoni a profondità ancora inesplorate e crei relazioni/integrazioni dentro e fuori di noi: una parola tutt’uno con l’esperienza, colorata di emozioni che le conferiscono significato, parola incarnata, cioè delimitata.

    Facciamo una gran fatica a delimitare, a dare un corpo alla Parola che ci abita, eppure siamo chiamati a realizzare questo miracolo!

    Marco è per noi un esempio di questo piccolo grande miracolo e una guida alla sua realizzazione, ma la parola/Parola incarnata richiede un ascolto recettivo per produrre i suoi frutti.

    Cara Rosella nelle tue parole percepisco una profondità di senso che non riesco a penetrare e non so rispondere alle tue domande.
    Lascio che le parole risuonino dentro di me e resto in ascolto.

    Grazie ancora. Un abbraccio. giovanna

  2. Quante emozioni, oggi, rientrando nel blog dopo una settimana di lontananza dal PC!

    Questa mattina sono stata catturata dalle parole di Marco in apertura dei corsi di DP, soprattutto quando parla di vita come flusso di energia “pensante” in cui il pensiero è gratuito, invisibile e richiede amore.

    Ora il post di Rosella sulla parola che prende corpo, che si colora di emozioni e nella relazione crea un gioco di senso tra chi la pronuncia e chi l’ascolta.

    Anch’io sono affascinata da questo gioco.
    Do importanza alla parola e mi fa male vederla svuotata di valore perché ridondante, banale, falsa, volgare, quando perde senso e non si fa strumento di relazione e di comunicazione.
    Continuo, tuttavia, a credere al suo valore educativo e curativo e sento il bisogno di entrare nel silenzio per discernere la parola che sgorga dai sentimenti e dai pensieri del cuore, capace di tradursi in azioni comprensive e amorevoli e in parole sincere, essenziali sia che vengano dette a voce, che scritte su un foglio o dalla tastiera di un PC.

    E’ bello percepirmi generata da un Pensiero Amante che mi precede e che, attraverso la parola incarnata, mi lascia libera di diventare strumento di nuova creazione.

    Grazie a tutti.
    Giuliana

  3. cara Giovanna,
    sai son commossa. Devo dire che l’immagine della vite e dei tralci è un tocco di grazia che fa coincidere questo post con le letture del giorno. E mi par giusto, rendere noto anche che questo scritto nasce “come risposta” ad una domanda che non è stata ancora esplicitata.
    Sembra un gioco, ma non è così.

    Anche la vita è donata come “risposta ad una domanda” che non abbiamo formulato.

    Io non avevo la risposta alla mia attuale domanda, sino a che, ieri, ho letto il riscontro di Guzzi in:
    “Realizzarsi: Possiamo creare la nostra felicità?”

    Confrontando il quesito odierno ed il riscontro di ieri
    Rosella
    “Un seme in cui è il proprio frutto, così come un frutto in cui sia… venga “IL TUO REGNO “.
    Guzzi
    “L’ascolto produce il frutto che la parola lancia nell’aria in forma di seme.”

    non posso fare altro che constatare: “che vuoi farci LUI PUO’ !”

    Secondo me “è solo un caso”! … non attribugliamoli eccessiva importanza…
    ciao

    Giuliana, appena posso… son da te.

  4. Guzzi
    “L’ascolto produce il frutto che la parola lancia nell’aria in forma di seme.”
    Giuliana riferito alle parole di Guzzi in: “Realizzarsi: Possiamo…”
    ” soprattutto quando parla di vita come flusso di energia “pensante” in cui il pensiero è gratuito, invisibile e richiede amore.”
    Cara Giuliana
    Io non sò se l’energia sia pensante di suo, non potrò mai saperlo sintanto che abito il mio corpo (magari si adatta semplicemente al mio mezzo cerebrale). Quel che constato è che porta in unità tutte le mie emozioni anche le più contrastanti ed in rotta di collisione; conducendo un dialogo interiore che è come un lieve sguardo sfocato, che scorre le diverse immagini della giornata, attraversando le emozioni come fossero puzzles.
    Spesso è al risveglio nel mattino presto che, come dopo una lunga meditazione profonda ed inconscia, appare il nuovo.
    Altro, proprio altro da sè, rispetto al pensiero da me ipotizzato la sera . Eppure sono o si rendono piano piano evidenti le assonanze ragionevoli di tale “diversità” . Son meglio adatte di qualsiasi cosa io avessi potuto inventarmi.
    Questo mi fa pensare che “il mezzo” (la persona) necessiti di alcune caratteristiche perchè possa verificarsi questa coincidenza tra seme lanciato nell’aria, ascolto recettivo e dialogo interiore , che rilancia un ALTRO SEME: come fosse un NUOVO PUNTO di ricamo che altri compiranno compiutamente.
    Sempre secondo me, continuando a viaggiare nelle emozioni , questo luogo di perfetta PURA coincidenza, di un disegno nostro/Nostro(di tutti noi) e dell’altro/Altro, è: la GIOIA NEL CUORE.
    Quel fatto “non parlo se prima non tocco la gioia non voglio mentire” è una faccenda estremamente seria.
    ciao Rosella

  5. ” soprattutto quando parla di vita come flusso di energia “pensante” in cui il pensiero è gratuito, invisibile e richiede amore.”

    Ieri la parola “energia” ha innescato in me una reazione automatica che mi ha condotto ad un “non so” fuorviante.
    L’Essere è indubbiamente pensante. E’ quel “pensiero che mi pensa”, dialogicamente attraendomi a sè con l’energia del Suo Amore.
    NELLA GIOIA ricreandomi NUOVA MENTE dona quell’esultanza riconoscente che ci rende partecipi della sua sovranità.
    Così mi pare che vada meglio.
    ciao.

  6. Carissima Rosella, il bello della scrittura creativa è proprio di essere una porta di accesso verso ciò che non sappiamo, e che pure in qualche modo già siamo.

    Jung diceva che l’uomo non solo deve sapere di non sapere, come sosteneva Socrate, ma anche divenire consapevole di non sapere ciò che in qualche modo invece già sa.

    Per questo nei nostri Gruppi ci iniziamo fin dai primissimi incontri a scrivere in ascolto delle nostre più intime emozioni, per conoscerci a livelli sempre più profondi, ma anche per sperimentare che per davvero siamo abitati da un pensiero/spirito, che attende solo la nostra disponibilità ad ascoltarlo, per illuminarci della sua inesauibile sapienza.

    Per chi si pone in ascolto delle proprie profondità resta comunque il problema di rendere comunicativi i propri pensieri.
    Questo problema ha attraversato l’intero XX secolo poetico.
    Molti autori hanno abbandonato la comunicazione a vantaggio di un’espressione sempre più “delirante” del proprio inconscio: pensiamo ai surrealisti o a Marinetti; arrivando fino al non-sense.

    Oggi credo che lo sforzo sia invece quello di raggiungere (sia nell’espressione poetica che in quella comune, come in un blog come il nostro) una semplicità di secondo grado: una chiarezza sempre maggiore, in cui la profondità non sia più necessariamente oscurità, ma lampo di luce, e luce incarnata.

    Mi pare infatti che la misura della comprensibilità la dia la misura dell’incarnazione della parola: più la parola calza nel corpo, è anima di un corpo preciso, più risulta chiara a chiunque.

    Ma la delimitazione corporea della parola è un lavoraccio su tutte le nostre ridondanze emotive, su tutte le nostre tentazioni extracorporee, di cercare cioè la verità fuori dalla misura della comunicazione umana.

    Questo processo delimitante/incarnante ha accompagnato il mio lavoro poetico dagli anni ’70 fino al 2005, fino a “Nella mia storia Dio”, in cui profondità e superficie incarnata, e cioè vita quotidiana, eterno e momento passeggero sembrano la stessa parola che si dice con naturalezza estrema, come in una conversazione tra amici…

    Da lì è iniziato un nuovo passaggio, di cui sarà testimonianza un libro che, se Dio vuole, uscirà nel 2012: una confessione fatta in dialogo col pensiero divino che ci abita, e che illumina e benedice tutta la nostra vita, leggendola come una storia faticosa, ma comunque di salvezza.

    Un abbraccio. Marco

  7. Enrico Macioci dice

    E’ un tema davvero fondamentale. Riporto alcuni brevi tratti della cosiddetta Lettera del Veggente, un brano che Rimbaud (uno dei poeti di riferimento di Marco) scrisse nel maggio del 1871, a 16 anni, indirizzandolo a un suo professore che non ne capì il senso.
    In effetti il brano è rivoluzionario per i tempi, ma dice sostanzialmente quello che in questo sito si raccomanda di fare con (e per) il linguaggio. Certo Rimbaud è un caso estremo, ma se ci si fa caso la sua condanna dell’egoità, la sua idea della poesia come diaconia PER TUTTI e non soltanto per sé, la sua sensazione precisa di stare in ascolto di qualcosa di più profondo del proprio io quando si mette a scrivere, sono tutti argomenti all’ordine del giorno in Darsi Pace e nei gruppi.

    Ecco qualche stralcio della lettera: “Poiché Io è un altro. Se l’ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua. Per me è evidente: assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo osservo, lo ascolto: lancio una nota sull’archetto: la sinfonia fa il suo sommovimento in profondità, oppure d’un balzo è sulla scena.”

    E ancora: “Se i vecchi imbecilli non avessero trovato,del soltanto il significato falso, non avremmo da spazzar via i milioni di scheletri che, da tempo infinito, hanno accumulato i prodotti della loro orba intelligenza, e se ne proclamano gli autori! […] Del resto, ogni dire essendo idea, il tempo di un linguaggio universale verrà! Bisogna essere accademico – più morto d’un fossile – per rifinire un dizionario, di qualsiasi lingua. I deboli che si mettessero A RIFLETTERE sulla prima lettera dell’alfabeto, potrebbero precipitare presto nella follia!-

    E poi il grande proposito: “Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e tira. Sarebbe compito del poeta definire la quantità d’ignoto che si ridesta nell’anima universale del suo tempo: egli darebbe di più – della formulazione del proprio pensiero, della notazione DELLA SUA MARCIA VERSO IL PROGRESSO! Enormità che diverrebbe norma, assorbita da tutti, egli sarebbe veramente un MOLTIPLICATORE DI PROGRESSO!”

    Questa è appunto la concezione d’un linguaggio divino che tutti ci abita.

  8. Enrico Macioci dice

    Errata corrige al primo rigo del terzo capoverso: “Se i vecchi imbecilli non avessero trovato, del vecchio ME STESSO, soltanto il significato falso” eccetera.

  9. Marco, Enrico,
    per ora grazie.
    Mi tocca dormirci sopra un po’.
    ciao e buona domenica a tutti
    Rosella

  10. Grazie Rosella, il tuo stile (carne) è inconfondibile. Quando leggo le tue parole è come se mi riflettessi in uno specchio “altro”, nel quale mi ri-vedo ma da un punto di vista davvero inedito. E però mi ci riconosco, se non pretendo di farlo subito!
    Credo che l’intervento di Marco abbia colto nel segno e dunque non aggiungo, al momento, nulla.
    Grazie, come sempre, a tutti voi.

    renato

  11. “il bello della scrittura creativa è proprio di essere una porta di accesso verso ciò che non sappiamo, e che pure in qualche modo già siamo.”

    Caro Marco,
    già non son d’accordo sulla prima frase.
    Dato che io non conosco la scrittura creativa, ma sono veramente una principiante, una che osserva sè stessa, come fosse neonata, Ti dirò che la mia percezione è questa:
    “Viaggio per un po’ dentro un quesito, come fossi un sasso lanciato nello stagno, che produce sulla superficie molti centri concentrici, sino al punto in cui, s’acquietano le onde ed emerge un nuovo centro. Questo centro o risposta alla domanda calata nel profondo è contemporaneamente rinascita. Costruzione di una nuova piccola parte di me e della mia vita a 360°.
    E’ molto ma molto personale e attuale, nasce da emozioni conflittuali contingenti, da esigenze di ordine nel senso dei sensi”.

    Io non ho la percezione di riconoscere qualcosa che già sono, qualcosa che già sapevo ma mi era celato: mi è donato qualcosa di nuovo. Non solo sono la stessa eppur diversa (che potrebbe coincidere con “riconoscere qualcosa che non sappiamo ma che in qualche modo già siamo”), è un portare in armonia, in quel preciso momento, tutti gli ambiti relazionali della mia esistenza nella loro concretezza “contemporaneamente”.
    Il cambiamento è repentino, sintetico ed illuminante, agisce “quasi da sè” basta che io acconsenta.

    In me il quesito non è”come delimitarsi” ma “come LASCIARSI DELIMITARE dall’altrro” e ipotizzo un’analogia metodologica con il “lasciarsi delimitare dall’Infinito” Altro da sè.
    Ha a che vedere con l’energia, con l’attraenza.
    Come lasciarsi abitare dal nuovo?
    E come comunicare questo nuovo? io non lo so.
    Così mi sento aperta anche al rischio di “rompere” gli schemi altrui.
    Che fondamentalmente significa RISCHIARE PERSONALMENTE, da un lato la solitudine e dall’altro il narcisismo egoico.
    Allora il punto è “quale discernimento degli spiriti?” oltre al fatto di affidarsi ad una Guida Spirituale. La mia risposta è “la pace e la gioia nel cuore” e “dare tutto SENZA CONDIZIONI.”
    Certo io lo sò che sono una che si è buttata via per niente, PER NESSUNO, tutta la vita; o almeno così credevo.
    Ora, per non buttare altro di me domando “come mai quando non si comprende qualcosa non si chiede? prova a ridirmelo in altro modo che mi interessa? se si pensa che non sia chiaro?
    Io faccio un sacco di domande che cadono nel vuoto. Come mai?
    Faccio domande così inopportune stupide o che altro?
    Bene! Oremus.
    per ora ciao.
    Rosella

    non ci ho proprio dormito sopra. Ora mi osservo e “vedo” tutte le mie magagne.

  12. ciao Renato,
    grazie. Ho letto ora il tuo intervento, incrocia un po’ le dita, ne ho appena fatta una delle mie.
    ciao
    Rosella

  13. Enrico, che bello!!!
    Se ho capito/intuito. Concordo su tutto.
    Con te mi va di viaggiare in questo.
    “Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, PENSIERO CHE AGGANCIA IL PENSIERO E TIRA.”
    Viaggiare, per me è andare a ruota libera, parlare a vanvera per stare a vedere se ne esce qualcosa.
    -secondo me (e non ridete troppo) che tira è IL DESIDERIO.
    Nel senso che noi siamo costituiti COME AMANTI solo che riteniamo di dover essere corrisposti dalla persona di cui ci innamoriamo per poter vivere L’AMORE.
    Non è necessariamente così.
    Quando si lasciano delle dipendenze compulsive (per me il fumo) talvolta si cade in una serie infinita di scatole cinesi, si colma il vuoto riempiendolo con un altro atteggiamento compulsivo/dipendente. E’ veramente dura attraversare l’attesa in questa terra di nessuno.
    In questo luogo sperimenti proprio fisicamente, la tensione contrapposta del desiderio. Sei consapevole di non potercela fare da solo a tornare in armonia, però se nella preghiera profonda ti affidi allo Spirito, quasi in un grido muto, nella fiducia, piano piano sei risanato.
    Ad un certo punto sei consapevole che la vera libertà è dipendere da questo Spirito che ti solleva l’anima… .
    Questo luogo è qualcosa di più e di diverso dall’apprendere un atteggiamento empatico, è più comunionale… questo luogo E’ MOLTO molto ATTRAENTE e penso che quel: non parlo se prima non tocco la gioia non voglio mentire, abbia in sè la potenza di esprimere questa forza creatrice di una lingua che sia anima per l’anima”
    Non so perchè, ma questo è quanto mi hanno sollecitato le tue parole.
    Ciao.
    Rosella

    p.s. ora mi riposo.

  14. Guzzi – “Ma la delimitazione corporea della parola è un lavoraccio su tutte le nostre ridondanze emotive, su tutte le nostre tentazioni extracorporee, di cercare cioè la verità fuori dalla misura della comunicazione umana.”
    … se ci avessi dormito sopra, ALMENO UN POCHINO, avrei compreso che è ciò che mi vai ripetendo da molto tempo.
    E’ una faccenda, talmente difficile, che implica “la rottura”, il frantumarsi di me stessa, che irrita la mia bambina interiore a cui la mamma chiedeva sempre qualcosa in più: la perfezione. Ed in me scattano un miscuglio di emozioni , così palesemente. “dolcemente” umane, come: rabbia, te la faccio vedere io, ecc.ecc.; sino a “trovar la perla” e porgerla sorridendo al proprio “papi” (Abba).
    E con questo, ringrazio tutti per l’accoglienza e l’ascolto prestato al mio tentativo COMPROMETTENTE, ed invito a passare oltre, al post di Enrico che è UNA VERA MERAVIGLIA, quasi come se ne incarnasse, per puro caso, l’evoluzione naturale.
    Ciao e buona settimana a tutti
    Rosella

  15. Carissima, è un lavoraccio per tutti noi riuscire a comunicare restando in ascolto dei propri processi interiori: senza tradirli e senza perderci in essi.

    Mi pare che ci aiuti sempre il lasciarci delimitare dall’ascolto (attivo) dell’altro, nell’ascolto (passivo) dell’Altro.

    Essere ponte cioè, ponte però che arriva all’altra sponda, al fratello e alla sorella distratti e confusi, che vanno perciò raggiunti ad ogni costo.

    Questa fatica è l’incarnazione comunicativa dei tesori di cui parlava Rimbaud, è la traduzione di qualcosa di assolutamente intimo e personale in qualcosa che riguarda tutti, e parla a tutti.

    Questa fatica è un’arte, non nel senso di ambito specialistico, ma nel senso di un modo concreto di stare sulla terra, facendo ponti: pontificale.

    Un modo che sta diventando l’unico modo per sopravvivere su questa terra: o diventiamo pontefici o affogheremo nel guado del fiume in piena…

    Un abbraccio. Marco

  16. grazie Marco, e:

    “lasciamo che accada”

    Rosella

  17. Arte “pontificale”… strepitoso!

    Grazie Marco e grazie Rosella, siete davvero preziosi!

  18. “Ed in me scattano un miscuglio di emozioni , così palesemente. “dolcemente” umane, come: rabbia, te la faccio vedere io, ecc.ecc.; sino a “trovar la perla” e porgerla sorridendo al proprio “papi” (Abba).”
    scusate… “sapete che non so starmene zitta!”
    Mi è pervenuto un nuovo significato e desidero comunicarlo.
    Apparentemente vi è una contraddizione: che io sia irritata dall’atteggiamento di mia madre e poi porga, il mio tesoro “la perla” a mio padre…”.
    Non vi è alcuna contraddizione: mio padre è responsabile del fatto che mia madre abbia fatto indossare “a fin di bene” ad una principessa la pelle di un asino.
    Lui non mi ha difesa separandomi da lei, abdicando così al suo ruolo paterno, ed è proprio a lui che porgo il mio perdono.
    Ciao. questo è quanto… ma non è che per caso Massimo Diana abbia trattato anche di questa fiaba?
    buona giornata a tutti
    Rosella

  19. forse vi è un oltre “io lo perdono per non aver fatto di mia madre una “vera regina” (il chè non toglie che il loro matrimonio sia stata di gran lunga più soddisfacente del mio, considerando la mentalità del loro tempo. Loro sono stati felici in modo equilibrato, insieme)
    e torniamo a quel “essere veri mariti per essere padri”
    spero,per voi, di aver concluso.
    ciao

  20. Cara Rosella,
    il tuo bel post ci sollecita a pensare sulla realtà della parola, realtà meravigliosa che ci fa umani. La parola come dici tu, vela e svela, può dire altro da quello che si pensa e si vuole, può offendere e ferire, ma può anche consolare, illuminare, dare e suscitare amore. La parola è anche quella che ascoltiamo, parola umana , ma anche divina. Che cosa meravigliosa!
    Pensiamo quanto è disagiata la condizione di chi non ha la parola, di chi , per esempio, si trova in terra straniera e non conosce la lingua che vi si parla. Può con i gesti comunicare a livello elementare, ma non a livelli più profondi. Lo vediamo ogni giorno nelle nostre città.
    Manzoni ci ha narrato dell’impaccio di Renzo, che di fronte a una lingua , altra, infarcita di latino, del dottor Azzeccagarbugli, non capisce e si sente ingannato.
    Don Milani si è dato con tutte le sue energie a una scuola popolare che permettesse ai figli di contadini e operai di acquistare la dignità di cultura e sapere delle persone più privilegiate e li rendesse consapevoli dei loro diritti e doveri.
    Io in questo periodo sto facendo, con molta fatica, l’ esperienza di accompagnare e seguire, come amica ,una persona sorda dalla nascita, sordomuta come si diceva un tempo, oggi non più, perché oggi i bambini sordi imparano a comunicare sia con la lingua dei segni, sia scrivendo , parlando e comprendendo la lingua degli udenti. Questa persona ha più di 70 anni e non è stata educata adeguatamente a comunicare, sa leggere e scrivere le singole parole, ma non le sa comprendere e collegate in un discorso. Possiede solo concetti semplici e concreti .( Il processo di concettualizzazione nei bambini sordi , non adeguatamente seguiti, è molto limitato). Ora che,alcune persone a lei care , che la proteggevano , sono morte, si trova molto isolata e incapace di badare a sé stessa , in questa società così complessa. Ha un certo patrimonio per vivere, che però fa gola a potenziali eredi, che la seguono un po’, ma senza amore e comprensione. Cercano di farle spendere il meno possibile e non si preoccupano della sua qualità di vita. Lei, senza parole adeguate, non si sa difendere , non sa raccontare la sua esperienza, non è in grado di affermare i suoi diritti. Mi fa molto pena e cerco di aiutarla come posso, cercando di svegliare anche la sua povera interiorità .
    Forse sono andata fuori tema , ma questa esperienza mi fa riflettere sul grande valore del dono della parola, per il quale , come per tantissimo altro, è bello ringraziare il nostro creatore. Buone giornate!, Mariapia

  21. Cara MariaPia,
    non sei assolutamente fuori tema, quello su cui stai riflettendo è esattamente anche il mio obiettivo. (Anche se io penso a sei otto o nove bambini che accedono ad una prima elementare…)
    Ciascuno di noi non può fare altro che partire concretamente da ciò che lo muove personalmente.
    Ora il punto è che esistono molte persone di buona volontà, eppure siamo spesso “nella Babele”.
    Io stessa ho fatto tutto il meglio che potevo, ritrovandomi con della polvere tra le mani. Quindi la fatica è proprio di lasciare che il nuovo “il nascente” nasca; e non è per nulla scontato.
    Ti posto questo, è la meditazione di ieri a partire dalle letture di Taizè

    lettura – S. LUCA – Gesù disse: La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.

    Gli operai sono pochi, NOI preghiamo d’incontrarci in quel luogo in cui la comunione IN LUI operi l’abbondanza nostra, nella COMUNIONE CON LA MESSE.

    Questo è il punto: essere in comunione, celebrare la Messa non è capirsi, proprio no: è amarsi LASCIANDOCI AMARE.

    Ora esiste un limite che pare invalicabile al logos, alla parola dialogica ma che conoscono bene gli amanti “la comunione nel silenzio”
    Quello è il luogo nel quale delimitare l’incarnazione, un luogo nel quale il verbo si fa carne mistica lasciando il vecchio al nuovo spirito che anima la carne
    Presumo sia quello che intende Guzzi però non sò, io faccio sempre dei distinguo.

    Questo per dire che non c’è nulla da capire, si capisce lasciandosi amare.
    S’impara ad amare lasciandosi amare.
    Tu pensi che sia facile lasciarsi amare?
    Nemmeno un po’
    Ci hanno stravolto l’orientamento: un’illusione ottica che va lasciata andare per ritornare all’origine proprio lì: nel nostro (di tutti noi) peccato originale.
    Lasciarsi amare, nel fiducioso abbandono completo, come fossimo neonati, da coloro che come noi non capiscono, non possono capire, e “non sanno amare”.
    ma pensa tu che sfida…
    ma come fa il nostro Abba a pensarle?
    troppo bello!!!

    meditazione – Il Vangelo di Luca termina con l’immagine dei discepoli prostrati, il capo poggiato a terra. In ciò ritrovano un atteggiamento della preghiera del corpo che risale forse alle più lontane origini dell’umanità. Sta a significare l’offerta silenziosa della propria vita.

    l’incarnazione di una nuova era perfettamente pura e coincidente anche storicamente:
    multiculturale, multimediale, multi etnica, multi… molto molto multi multi:
    nell’abbondanza benedicente del Signore della Messe!

    In fondo trattasi di trovare parole che semplicemente per pura coincidenza pongano la loro radice nell’intimità di Dio.
    Io credo molto nelle nuove generazioni… Enrico mi pare colga l’intimità di questo luogo con una grande naturalezza.
    Io non conosco personalmente Enrico, quindi “razionalmente” non so.

    Bello no? Salutami la tua amica e dalle un silenzioso abbraccio per me.
    Ciao, con affetto
    Rosella

  22. Domenico Parlavecchio dice

    Fatemi un riassunto semplice … Rosella è esonerata 😀

  23. caro domenico,
    ciao. Quando tu ti affacci io “esulto”.
    Dimmi un po’ come ho fatto a complicarmi in questo modo, che un tempo parlavo di tavole, cibo e del “rosa” ? … la poesia dedicata ad Irene è una delle mie preferite.
    Sarà perchè per addivenire ad una semplicità necessiti attraversare la complessità?.
    Ti saluto caramente di cuore, con un abbraccio a tutta la famiglia.
    Rosella

  24. Cara MariaPia,
    effettivamente ieri ho steso un lenzuolo coprente anzichè di un bianco luminoso.
    Ho gravi problemi. Passo dal tutto al niente, come se per nascere dovessi attraversare nove mesi in una precoce minaccia d’aborto seguita da estenuanti tentativi di prematurità.
    Ma non mi arrendo, grazie al vostro pazientissimo ascolto.

    Avrei potuto risponderti sinteticamente:
    ” tutto ciò che dici è molto pertinente, basta continuare a fare esattamente quello che vai facendo per la tua amica mantenendo la gioia nel cuore.”

    Ma questo che senso avrebbe avuto se per caso condividere la situazione, muove altri sentimenti?

    Io mi sono resa conto che, quando agisco concretamente nel donare qualcosa all’altro, nel soccorrerlo, dimentico totalmente come io accetto un dono.

    Nel mio caso specifico a come accolgo l’aiuto di Gianni o dei miei figli.
    Vivo una gamma infinita di sfumature che spesso “sprofondo” (lascio andare) nella comunione per poter accogliere “sorridendo”.
    La mia aspettativa non è praticamente mai integralmente corrisposta. (son piena di pretese)

    Ri-conoscere consapevolmente come noi personalmente accogliamo un dono ci rende meglio corrispondenti alla situazione, ne nasce un modo nuovo, più complessivamente gioioso di donare.
    Si percepisce di più la lievità che il peso e lo si trasmette anche all’altro.

    E mi unisco a te, nel ringraziare Dio del dono della parola, nonostante io non sappia “ancora” farne uso.

    ciao, con affetto a tutti, buona giornata.
    Rosella

  25. Cara Rosella,
    grazie per la tua comprensione e vicinanza poetica e intuitiva.
    Lasciarsi amare, farsi amare e amare, come dici tu, non è per niente facile: è l’impegno di tutta la nostra vita. E darsi Pace ci aiuta proprio in questo compito.
    Oggi vedrò la mia amica sorda: comunicherò con lei nel modo più caldo possibile, con l’abbraccio e lo sguardo e accompagnandola in una passeggiata, visto che è una magnifica giornata ottobrina.
    Sarà molto più difficile comunicare, un altro giorno, con i suoi parenti, che , quando ho parlato loro, di una felicità possibile anche a 70 anni, anche per una persona portatrice di handicap, sono rimasti stralunati e mi hanno fatto capire che la mia visione della vita è astratta, fuori della realtà , ingenua. Quanta infelicità nelle loro parole e atteggiamenti! …Non tutti possono capire le proposte e la buona notizia annunciate del nostro maestro Marco G.! Grazie per l’attenzione, Mariapia

  26. sai MariaPia,
    sono anni ormai che fatico moltissimo a rapportarmi con il limite ed il dolore “altrui”. Come se qualcosa dentro di me dicesse “basta!” e capisco che mi è necessario trovare un qualche cosa di più ampio ed integro dentro me, per potermi “riproporre” in modo nuovo.
    Io ti ammiro molto, come ho una grande stima di tutti coloro che sono in grado di donare un qualsiasi anche pur minimo sollievo al corpo… e facevo l’infermiera. Talvolta mi domando come mai ci saturiamo cisì?
    Godiamoci questo sole “noi” insieme, tu e la tua amica ed io e Gabriele.
    Un abbraccio
    Rosella

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