Lampi – Dentro la dura notte l’anima chiede salvezza

Commenti

  1. Caro Marco!

    Ieri, grigia e piovosa giornata festiva, ho ascoltato con impegno questo video della tua conferenza su Rimbaud. Mi ha interessato molto, ma mi ha anche lasciata piuttosto sconvolta.
    Ti chiedo ora qualche chiarimento sulla tua risposta alla domanda della signora che ti ha chiesto di fare un confronto tra la discesa all’inferno della notte dell’Innominato di Manzoni , con seguente approdo alla fede e quella di Rimbaud. Tu hai risposto, se ho capito bene, che quella manzoniana , come quella dantesca è una rappresentazione della discesa l’inferno, mentre quella del poeta maledetto è una esperienza di disperazione più completa, più coinvolgente, più vicina a un processo iniziatico di trasformazione. Ora ti chiedo: è possibile un rapporto trasformativo con Dio, un’esperienza di fede, al di fuori di ogni narrazione, di ogni esperienza e cultura religiosa? Se vogliamo vivere una fede autentica occorre non solo attraversare la notte della nostra disperazione, liberarci dalle nostre false immagini di Dio, ma anche ridiscutere tutte le teologie e spiritualità che ci hanno accompagnato; la nuova evangelizzazione, di cui parleranno i vescovi non potrà essere che un rivolgimento totale del nostro pensare e vivere Dio? Ne saremo capaci come persone e come Chiesa? Grazie,
    Mariapia

  2. Enrico Macioci dice

    La lettura di Marco Guzzi mi sembra la più folle, e dunque la più efficace delle tantissime tentate per comprendere Rimbaud.
    Se è vero, come dice Renè Char, che Rimbaud è il primo poeta di una civiltà non ancora nata, allora forse Marco Guzzi ci indica che questa civiltà sta finalmente nascendo; se Rimbaud può essere intimamente capito, allora forse il “Natale sulla Terra” che lui auspicava è un po’ più vicino – o forse siamo noi, che ci stiamo avvicinando.
    Un saluto a tutti.
    Enrico

  3. Carissima Mariapia, l’esperienza poetica di Rimbaud non è un racconto esterno del processo trasformativo, ma coincide col processo stesso, perciò R. parlava dell’alchimia del verbo: la trasformazione dell’uomo, avviata da Cristo, sta compiendo una specie di salto di qualità.
    In fondo tutto il lavoro dei nostri Gruppi non si spiega se non come tentativo di vivere questa iniziazione cristiana al livello in cui oggi è possibile, e necessaria.
    Stiamo passando da una religione preminentemente rappresentata ad una spiritualità preminentemente sperimentata.
    Perciò molte cose entrano in crisi, perché stiamo crescendo.
    Questo implica anche, come dici, un grande confronto con molti aspetti teologici, con molte interpretazioni del mistero di Cristo, che abbiamo elaborato nei secoli, e che vanno tutte riviste, ricomprese: cosa d’altronde già in atto da tempo.
    Perciò la Chiesa parla di Nuova Evangelizzazione, la quale però non può che coincidere con una Nuova Iniziazione al mistero di Cristo, a partire dai cristiani…
    Un abbraccio. Marco

  4. Carissimo Enrico, effettivamente parliamo di una forma di umanità che forse solo alcuni santi e pochissimi poeti hanno intuito, e che ora sembra offrirsi come unica possibilità evolutiva PER TUTTI, per la stessa specie umana su questo pianeta.
    Ma, come la vita di Cristo ci ha mostrato, la nascita dell’Uomo Nuovo non è affatto bene accolta, né dentro nè fuori di noi. Il Nascente anzi viene subito perseguitato, rinnegato, minacciato, e poi verrà escluso, condannato, irriso, tradito da tutti, torturato, e ucciso.
    Questo per dire che non dobbiamo farci illusioni, ma confermarci nella speranza che però questo Nascente è l’erede universale, l’unica forma di umanità che resterà.
    Ciao. Marco

  5. Grazie Marco, davvero mettono sete e dissetano queste tue riflessioni intorno a Rimbaud e quindi a tutti noi. Come si può “capire” Rimbaud, “spiegarlo”? Forse Rimbaud, come ogni autentico “fenomeno/essere”, si MOSTRA in relazione alla nostra disponibilità a sperimentarne l’esperienza. Lui stesso comprendeva per “lampi”, credo, proprio là dove canto e esistenza trovavano una perfetta sintonia, una trasparente e aperta reciprocità di domanda e risposta…

    Può capitare a molti, al mattino, mentre – che ne so – ti lavi i denti, di guardarsi allo specchio e di vederci un altro dentro, e provare un brivido. Ma pochi, immagino, sarebbero disposti a vedere in quell’altro ancora se stessi, vivendo una specie di cortocircuito inquietante, folle. Non è ancora niente vedere un “altro”. La “follia” è riconoscere che questo altro sono proprio io, io, “propriamente”. In fondo a me non ci sono io ma l’altro, come in fondo al pensiero non c’è mica il pensiero ma l’essere, e in fondo all’essere il pensiero. Se io sono un essere in relazione allora in fondo a me c’è l’altro capo della relazione, cioè l’altro. Ma questo altro non è semplicemente “altro”, ma è ciò senza di cui io non sarei proprio niente. Così fanno le relazioni! Lo dicono gli innamorati – magari senza esattamente saperlo – : “tu sei la mia vita; senza di te non sarei nulla…”

    Forse è meglio che mi fermi qui 🙂

    Grazie davvero e di cuore.

    renato

  6. Carissimo Renato, sai sempre cogliere aspetti fondamentali dell’esperienza poetica e spirituale contemporanea. Un abbraccio.
    Marco

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