Valanghe di numeri e di analisi economiche che contano e stimano il numero degli inclusi e degli esclusi, promesse di future battaglie, richieste di maggiore libertà di manovra, clima che diventa incandescente, rassicurazioni di un rilancio a breve e via di nuovo con le valanghe di numeri e di analisi economiche …. . Decisamente un format che ha fatto il suo tempo per raccontare … il lavoro e la sua crisi.
Personalmente quello che più mi fa male è che viene lasciato passare tra le righe che il lavoro assume significato essenzialmente per i soldi che produce (e quindi per la possibilità di consumare) e non per quello che può “creare”. Chi riceve soldi (onestamente oppure no) ha posto nella società, tutti gli altri no: perdono di significato, non esistono. Allora penso a mia moglie con la quale abbiamo due splendidi bimbi e alle madri tutte. La fecondità non ha significato? Non fornisce speranza e senso?
Mi sembra di ascoltare parole non dette quelle che danno corpo ad uno slancio, una visione che faccia intravedere un cambiamento, che faccia appassionare, che dia speranza.
Voglio mettere sul tavolo della discussione il senso che il lavoro può dare all’esistenza.
Ci sarebbe più silenzio nel quale si affaccerebbero altre domande sia personali che sul nostro modo di vivere … come si fa a parlare di mercato quando il 90% delle ricchezze è in mano all’1% della popolazione? come/cosa posso sperare ogni volta che vado a lavorare? come e quale speranza dare a chi è escluso o lo sta diventando?
Quando cominciai a lavorare sapevo esattamente cosa volevo fare. Ero proiettato come un missile verso l’obiettivo. Non mi risparmiavo. Lavoravo, studiavo per approfondire. Sempre. Nessun limite. Nessun confine. Ero l’espressione vivente del “falso movimento” e della “falsa quiete” (leggi riflessione su Buone Notizie a pag 70). Produttività spinta. La cosa perversa è che oggi come allora circola la diffusa convinzione che sia giusto così.
Mi sentivo deprivato del tempo e del silenzio, forzato a vivere bruciando giornate senza mai poter restituire qualcosa. Cercavo qualcuno che mi aiutasse a spegnermi a svuotarmi e allo stesso tempo mi accogliesse con parole nuove. Un ri-cominciamento.
E’ in quel particolare periodo della mia vita che ho avviato il percorso nei gruppi darsi pace. Ho imparato ad ascoltarmi e far emergere domande nuove. A mettere in discussione Domenico. Ricordo quale tenerezza mi avvolgeva nel sentire (durante la pratica meditativa) che io sono un io umano aperto all’infinito per accorgermi oggi di come riesco a mettermi in gabbia. Smettere di avere paura per una maggiore fiducia per un nuovo ricominciamento anche al lavoro. E’ come se avessi cominciato a costruire delle pareti più solide e porte e finestre da aprire solo a ciò che può farmi bene e a dire basta a ciò che non mi rappresenta più.
Non avevo intuito all’inizio la bella fregatura di questo percorso. Un ricominciamento prevede un’azione nuova, altrimenti non vale. L’azione nuova presuppone un pensiero nuovo e quindi uno spirito nuovo. La meta è quella di una liberazione e la voglia
di dare nuove risposte. Quando mi alzo e vado al lavoro (a volte con qualche mal di pancia) troverò il modo di dare mio contributo non come consumatore ma come Collaboratore.
Bellissima e feconda riflessione, caro Domenico!
Nessuno creda possa negare il valore inestimabile della donazione di sé nell’ambito della famiglia: penso, per esempio, a una zia di mio padre, zia Vincenza, che non si è mai sposata ed è vissuta con sua sorella (mia nonna Filomena) aiutandola a far crescere quattro figli maschi e a far funzionare la casa mentre mia nonna era costretta a lavorare notte e giorno (non così per dire) come sarta per trovare il denaro necessario per tutti. Esempi a cui non si può assegnare un prezzo, il denaro non basterebbe.
Un abbraccio a te e alla tua bella famiglia !
Filomena
Il ricominciamento prevede l’azione, ma l’azione presuppone un pensiero.
La straordinaria libertà dell’uomo è che può scegliere cosa pensare, se vuole, altrimenti sarà pensato dalle ferite, dalle abitudini, dalle cattive esperienze che diventano automatismi.
Oggi manca il pensiero capace di rilanciare l’azione.
Dobbiamo tornare ad essere umili e a fare silenzio.
La meditazione ci porta in questo luogo di silenzio, illumina e orienta il lavoro psicologico che dà corpo all’azione, un’azione che nasce da un luogo pacificato e più integro e che ci rende Collaboratori nella ri-creazione.
Un abbraccio a tutta la famiglia.
Giuliana
grazie Domenico per le tue parole…di particolare efficacia”E’ come se avessi cominciato a costruire delle pareti più solide e porte e finestre da aprire solo a ciò che può farmi bene e a dire basta a ciò che non mi rappresenta più.”
anch’io sono in fase di ri-strutturazione e devo fare attenzione, cioè mettere più consapevolezza , a far entrare ciò che è più salutare …a non cedere alle troppe richieste di chi bussa alla porta……
grazie Giuliana per le tue preziose riflessioni che si inseriscono ampiamente nelle sottolineature che Marco ci ha fatto nel primo incontro del 3 anno a proposito del senso della meditazione…. dello spazio che si crea dove ha inizio la libertà vera…nello scegliere cosa pensare,libertà nell’azione….
un’azione che nasce da un luogo pacificato e più integro e che ci rende Collaboratori nella ri-creazione.
Che bello camminare insieme trovando sul cammino gli amici di darsi pace “”con la torcia lucente..camminare appoggiandoci spalla a spalla…..finchè il nostro cammino si fa pace e il nostro amore seme”
.un abbraccio Irene
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Grazie per aver condiviso i vostri vissuti di Collaboratore. Aggiungo solo una riflessione.
Mi capita spesso di parlare con i miei colleghi del suo contrario e quindi del “dipendente”.
L’attitudine del collaboratore è quello che desidera dare il suo contributo e si attrezza per farlo (studia, propone, agisce) che si sente e vuol far parte di un progetto, che va verso … .
L’attitudine del dipendente è quello che aspetta di fare qualcosa che gli viene detto o agisce secondo regole definite .
Quando rifletto su qual è la portata di questa dicotomia mi vengono in mente alcuni passaggi del percorso DP: nel 2° anno anno ci troviamo di fronte alla scelta di decidere di credere e nel 3° a deciderci per un’azione missionaria nel mondo (agenti messianico) in modo più autentico e integro.
Mi sembra che la regressione in ambito lavorativo sia dovuta ad un atteggiamento di “dipendenza”. I lavoratori dipendono dal management che dipende dal mercato che dipende dagli azionisti che dipendono dalla finanza … tutti dipendiamo da tutti e tutti ci agitiamo in un perenne falso movimento fino a quando non ci decideremo a dare una risposta (personale in primis) alla domanda chi vogliamo essere… e essere insieme.
Disinnescare questa perenne acchiapparella significa smettere di fare il gioco attuale e proporne uno nuovo.
Per questo abbiamo bisogni di nuove visioni vivificate da un’esperienza concreta da proporre.