Ascolto

Commenti

  1. Maria Carla dice

    Cara Iside, ciao!
    Leggendo il tuo post sono stata sollecitata a immaginare sul ‘quando’ l’ ascolto di cui tu scrivi
    si potrà mai realizzare in modo diffuso e reale. Mi rendo però anche conto che se ognuno di noi, invece di fare la sua parte (ascoltandosi e ascoltando l’Altro fin da ORA) sposta il suo impegno personale ad un imprecisato e ottimale ‘momento x’ , non si metterà mai in moto un processo di cambiamento che possa contaminare il proprio, e quello degli altri, contesti di vita.
    Comunque una ‘fatica’ sicuramente da affrontare per stare tutti meglio…

    Grazie per gli spunti di riflessione sempre stimolanti che ci offri!
    Un abbraccio, mcarla

  2. Grazie cara Iside!
    Saper ascoltare e sapersi ascoltare una grande cura da somministrare ad ogni mio respiro. Questa pedagogia del cuore sta creando l’uomo nuovo che stiamo diventando. Per me è un grande conforto!
    Vanna

  3. Grazie Iside, un grande lavoro interiore ci aspetta, e sapere di avere l’aiuto di tanti amici e compagni di viaggio rende tutto più “leggero” e fattibile, almeno lo spero!

  4. Ascoltarsi è una delle prime azioni che intraprendiamo nel nostro percorso ed è anche quella che, si spera, non lasceremo mai. Come scrivi, servono allenamento e costanza, per giungere a riconoscere, almeno, qualcosa di ciò che siamo.
    Siamo così distratti da credere che la corteccia sia l’albero e che l’intero non sia importante, concentrandosi sull’apparenza e dimenticando al più presto lo screzio del vento passato.
    Quando mi ascolto trovo molta umanità ferita, e se non la rifiuto, ma me ne prendo cura con accettazione, comincio a sentire una carezza guaritrice che asciuga le lacrime della sofferenza e inizia a dar loro un senso nuovo.
    Allora mi guardo attorno e vedo che lo stesso è presente in ogni compagno di viaggio, in ogni cuore e in ogni anima. Non posso fare altro che amarlo, così come ho amato me stesso, così come ho amato il mio dolore, quello che era prima il mio nemico.
    Se non passo da questa porta, così stretta e bassa, non posso esse rivestito di nuovo e dar luce all’umanità nascente. E ogni giorno, ogni momento, è un passaggio.
    La cura medica non è più importante di quella più propriamente umana in questo senso. Il miracolo accade quando le due si fondono e non c’è più distinzione tra l’una e l’altra.
    Grazie cara Iside per questa opportunità di riflessione e confronto.

  5. Come per molte questioni nella vita, si tratta di coniugare una prospettiva a lungo termine con una che mi metta in gioco nel qui ed ora. Mi pare che occorra un impegno personale, quotidiano, indefettibile che non si preoccupi troppo di raggiungere obiettivi di grandi cambiamenti disegnati a priori, ma che abbia la ferma fiducia che questi verranno proprio a partire dal mio personale indefettibile impegno quotidiano. Così per l’ascolto: ci provo, tutti i giorni, sapendo che quell’umile gesto non resterà mai da solo, ma avrà inevitabilmente conseguenze. E noi crediamo che le conseguenze siano grandiose, di una potenza trasformativa radicale. Il piccolo gesto di uno si intreccia con quello dell’altro e insieme scopriamo il sostegno della reciprocità che incrementa la fiducia.
    L’ascolto delle ferite è possibile se ci sappiamo / sentiamo anticipati da un’accoglienza che non giudica e ci precede. Se poi la chiamo per nome, Padre, come ci insegna lo Spirito di Cristo in noi, allora posso abbandonarmi ad un ascolto così profondo da permettermi di lasciarmi andare, lasciando andare le tensioni muscolari come l’angoscia di morte. E diventare a mia volta motivo di cura per altri.
    Allora la cura del medico si fa declinazione specifica dell’unica cura, quella che mi trasforma momento per momento, fino alla salvezza.
    iside

  6. Cara Iside,
    condivido fortemente con te il desiderio della “nascita di una umanità nuova che avrá ”
    il coraggio di attuare alcuni fondamentali valori:
    il valore dell’ascolto con “orecchio teso”
    Il valore dell’incontro e dell’accoglienza con ”mano aperta ”
    il valore della cura ……”messa in circolo come sapienza della cura ”
    Il valore dell’accompagnamento. .. inteso come ”prendersi cura di sé e dell’altro ”.
    Tutto ciò implica una dimensione di consapevolezza di ciò che stiamo vivendo,
    di chi stiamo incontrando, di come stiamo ascoltando, della cura che reciprocamente stiamo agendo.Una consapevolezza che ha in sé il potenziale di trasformazione e che ci porta a costruire relazioni autentiche e di cura reciproca .
    Irenilde

  7. Cara Iside, tu assai bene confessi che “Se allo stesso tempo sono ascoltata, se l’altro mi raggiunge qui in questo stato di bisogno, allora insieme potremo intraprendere la risalita. Non è detto che ritornerò nel luogo di partenza, molto probabilmente sarò condotta altrove, ma lo farò in compagnia.”

    E penso che è proprio vero, è proprio così. La connessione con l’altro (l’Altro, che come sappiamo son termini che vanno insieme, che vibrano insieme, come una prima lettera d’alfabeto che passi da minuscola a maiuscola, cambi stato continuamente e morbidamente) è l’articolazione di base di un nuovo percorso, di uscita (faticosa, faticosa, faticosa) da sé e dalla propria pretesa autonomia, dal proprio disgraziato “sovranismo”, disgraziato proprio in quanto irrelato.

    Non so dove sbuco, aggiungi. O meglio io lo dico così, questo ritorno in un luogo che non è necessariamente il luogo di partenza, ma può essere senz’altro una ri.partenza, anche da un altro luogo, apparentemente distante o diverso, ma le distanze, le misure di tempo e spazio, non sono così assolute, non sono assolute come prima lo erano, come prima venivano pensate, ma dipendono dallo stato della coscienza.

    Anche per le leggi fisiche si possono dare curiose prossimità in eventi distanti, posto un travalicamento di dimensioni. E quante dimensioni travalica una coscienza – per grazia, per cedimento assai più che per impegno – centrata, non lo possiamo ancora minimamente sapere.

    Il valore dell’ascolto è difficilmente soppravalutabile. Ora che perfino la fisica, la scienza (un tempo) “dura”, ci avverte che tutto è relazione, ora più che mai, proprio ora, chinarsi appena all’atto dell’ascolto, all’umiltà di ascoltare e chiedere ascolto, in un rete che piano piano si allarga e travalica steccati e rigide appartenenze, oltrepassa morbida descrizioni ed iscrizioni, stempera sia i bianchi che i neri, è veramente tutto.

    Così impariamo a guarire, in un percorso che non ha tempo, perché è fuori dal nostro (affannoso) tempo, e si dilata nello spazio sapiente, di un sorriso.

    Grazie.

  8. Fra il metaforico ed il concreto mi sono un po’ persa.
    I miei casi son diversi, conosco il negare sofferenza psicologica e trovarsi poi con una sofferenza fisica,conosco il cercare una sofferenza fisica che assorba quella emotiva, conosco il negare la fatica come “debolezza” e andar di adrenalina per poi ritrovarsi burattino di una volontà meccanica e disperata il cui ultimo filo cede all’ improvviso…….in realtà conoscevo e solo sporadicamente di nuovo rivivo…..ora basta, pur ormai “incerottata”, adesso inizia felicità indicibile della profonda non solitudine.

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