“Giochiamo” con una fiaba

Commenti

  1. Sì, gioco anch’ io.

    Nella mia esistenza sono stata trasgressiva, pur mettendo in atto principalmente l’accondiscendenza come strategia difensiva.

    La rabbia, l’odio, la voglia di vendetta, insomma tutte le emozioni distruttive che impariamo a guardare e a nominare represse sotto i mascheramenti li ho scaraventati su coloro che giudicavo colpevoli della mia infelicità pagandone ovviamente il prezzo: la loro reazione difensiva si scaraventava su di me ed io stavo sempre peggio.

    Accogliere queste emozioni, lasciare andare l’immagine idealizzata di me, toccare la ferita e credere ogni volta che l’attraversamento dell’abisso nella fede in Cristo non è annientamento come vuole farmi credere l’ego, mi fa sperimentare che la salvezza è davvero a portata di mano.

    Quanto tempo mi ci è voluto per comprenderlo!

    La mia fragilità, il mio limite, la mia povertà riconosciuta e accolta nella fede cristiana è la strada per guarire, per salvarmi, per entrare in un ordine non più fondato sulla paura, ma sulla gioia, sulla libertà, nel quale scopro la bellezza di partecipare al gioco procreativo.

    Grazie Maria Pia per questa favola che mi fa sentire piccola e grande contemporaneamente.
    Ti abbraccio.
    Giuliana

  2. La tua fiaba è molto interessante e ci mette a contatto con punti dolenti.
    Io di mio so, conoscendomi, che non avrei usato la tredicesima chiave.
    Che mi si può dire:” Sbrigati prima che sia troppo tardi?” come diceva
    un nostro parroco. Un saluto. Teresina D.L.

  3. cara Maria Pia
    non conoscevo questa fiaba ma le fiabe mi piacciono.

    Per mettermi in gioco, non ricordo esattamente il momento preciso, ma certo riconosco che verso i dodici anni ho deciso che, mentire fosse una fatica inutile, tanto non serviva a niente.
    La mia sincerità è assoluta e non penso che sia un merito(talvolta ritengo proprio di essere deficiente), semplicemente quella è la mia decisione esistenziale, consapevole e razionale, perchè: ” tanto, nessuno capisce nessuno” e noi siamo comunque e sempre proiettivi nelle nostre relazione.
    Detto questo l’incomprensione e il rifiuto nella vita non mi sono mancati e l’amore /perdono l’ho goduto solo nel momento in cui: vivere o morire per me era “lo stesso”.

    Di una cosa sono certa, se non avessi avuto figli non avrei mai deciso di mettermi in gioco per imparare ad amare.
    La “tutt’unità”, come il perdono, sono proprio delle belle idee/cose ma incarnarle è, come dire: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”..

    Mi piace contemplare il Cristo Crocifisso è l’unica parola sensata che riconosco come vera e possibile nell’amore umano; poi, per Grazia, ogni tanto, lo Spirito Santo ci trasporta nella gloria del Risorto, e così, altalenando va… .

    Ciao, ti abbraccio e ti auguro serenità e salute.
    Con affetto
    Rosella

  4. Anche a me piacciono molto le fiabe, soprattutto ora che le ho riscoperte da adulta.
    Per il mio carattere penso che non avrei usato la tredicesima chiave se non dopo averci ragionato sopra molto: in fondo sono paurosa e timorosa di sbagliare. Però, se la cosa fosse sembrata proprio desiderabile, avrei studiato bene la situazione, i rischi e i benefici, e se avessi pensato che ne valeva veramente la pena, alla fine mi sarei buttata con decisione.
    Per quanto riguarda la confessione della propria colpa, anche lì, mai e poi mai, chiusura difensiva a oltranza, la confessione vera arriva solo con un avvicinamento lento, graduale, sbattendoci la testa più e più volte, cocciutamente, finchè anche la mia testa dura capisce che sì, mi posso fidare, mi posso abbandonare.
    Uscendo dal gioco della fiaba mi accorgo che io funziono proprio così….
    Grazie Maria Pia, un abbraccio
    Antonietta

  5. Neanche io conoscevo questa fiaba, ma anche a me piacciono le fiabe!
    Conoscendomi un po’, direi che io non avrei aperto la tredicesima porta perché sarei rimasta attanagliata dalla paura, ma anche la paura ha bisogno di scioglimento / perdono….
    Grazie per queste belle riflessioni
    iside

  6. Ci sono 13me porte , dove il male è così puro e il suo tanfo così forte, che non sento proprio il bisogno di aprire. Comunque la tredicesima porta l’ho aperta sicuramente ed era quella della via d’uscita da un ordine di vita precostituito, che non ascoltava e non riconosceva la mia voce interiore. Ma qual’è l’ordine precostituito? E’ quello della famiglia, con la sua maschera di difesa, o quella della società anche lei con la sua maschera o è quello dell’altro? Come vedere l’ordine precostituito dell,altro? Quindi la tredicesima porta l’ho aperta, fidandomi di un Dio che non sentivo punitivo ma di cui mi fidavo, non so perché. Era la necessità di fidarsi del bene, anche nel male, era una voce che mi chiamava. E là , nella tredicesima porta, c’era e c’è sempre la morte e la salvezza attraverso travagli lunghissimi, estenuanti e dolorosissimi. Per me la tredicesima porta è quella dell’abisso, la devo aprire per essere libera,……ma prima devo desiderare fortemente Dio e credere che mi posso fidare di Lui e che posso passare da uno stato di corruzione a uno stato di integrità, semplicemente perché ce lo ha detto Lui. Grazie delle vostre riflessioni
    Antonella

  7. Non conoscevo questa favola. Devo dire che mi ha un pò turbata perchè racconta, nella sua sintesi, Una Maria molto simile a madri terrene, con dinamiche relazionali di azioni/re-azioni, premi/punizioni, Vicina all’immagine di mia madre, anch’ella ahimè, di nome Maria! Per me La Madonna è sinonimo di accoglienza incondizionata e totale. E’ il grande grembo in cui posso rifugiarmi anche quando erro, con i miei limiti di persona terrena, perchè solo Lei, Grande Amorevole Madre Celeste può com-prendere ogni cosa!
    Anch’io avrei aperto la 13a porta! A fronte di ogni regola data con coercizione ( così l’ho sentita nella favola), scatta (forse scattava!) in me il desiderio di re-agire disobbedendo. E nella vita, puntualmente, ad ogni trasgressione, vissuta (purtroppo) con la strategia difensiva dell’accondiscendenza, ho dovuto gestire i ritorni ” della colpa”, per averla commessa!
    In questo magma di torti/ragioni, di impossibilità di chiarimenti circa chi/come dovesse realmente perdonare e/o
    essere perdonato, mi si è aperta, non senza travaglio, la 13a porta: quella della mia coscienza! (oggi e con il linguaggio DP direi dell’io in conversione!). Quando, guardandomi dentro, non ho “mal-esseri” interiori, vuol dire che sono sulla strada giusta!
    E’ vero! Le favole sono terapeutiche! Grazie per questa …. porta, che ci ha permesso di parlare dei nostri problemi in modo giocoso…!!
    A tutti un abbraccio Maria Rosaria

  8. Grazie a tutte coloro che hanno commentato il mio post, direi che prevalgono i sì alla domanda se avremmo aperta la tredicesima porta, però con modalità e determinazione diverse da persona e persona. Qualcuna ha interpretato la porta proibita come quella della coscienza, della libertà, quella che conduce al di là di un ordine costituito, da varcare comunque con molta cautela. Crescere, diventare consapevoli costa, ma è un processo inevitabile.
    Forse il nostro percorso in D.P. è proprio questo processo che, affrontato con determinazione e con gli strumenti giusti, insieme agli altri, consapevoli di un aiuto dall’Alto, ci porta in una nuova dimensione., ad un livello di vita più appagante. Anche la confessione è un processo, non si può arrivare subito, solo la forza dell’amore o della disperazione ci spinge a farlo.
    Avete notato che solo noi donne abbiamo cercato di calarci nelle situazioni della fiaba. Perché gli uomini no? Forse perché la protagonista è una ragazza in relazione con un’altra donna, la Madonna?
    Eppure il processo della trasgressione, della confessione e della crescita è anche loro, forse le tappe, gli ostacoli, sono diversi? Forse perché l’atmosfera e il linguaggio fiabesco sono troppo misteriosi o riduttivi per la psicologia maschile?
    Forse perché la titubanza , le sottigliezze psicologiche sono pane quotidiano più delle donne che degli uomini? Sarebbe bello che ci dessero qualche risposta! Mariapia

  9. cara Maria Pia, ti ringrazio per la fiaba.Guardando i miei maschi, padre, marito, fratello, amici, penso semplicemente che siano relegati a un ruolo sociale molto più di noi.come dire se hanno paura diventano più difensivi del loro ruolo, se sono
    responsabili si chiudono nel loro ruolo? ciao, Antonella

  10. Questa fiaba me ne fa venire in mente un’ altra, quella-inquietante- di Barbablu! Anche lì la proibizione (alla giovane moglie) di accedere ad una stanza dove giacevano i resti delle altre mogli!…alla fine la giovane moglie si salva grazie all’aiuto dei fratelli (mi sembra di ricordare). Il tema del divieto-e della sua trasgressione-mi pare centrale (io , di sicuro, con tutte le paure e le angosce del caso, l’avrei infranto). Ma di riferimento in riferimento non si può arrivare anche al divieto ‘originario’…quello del frutto proibito dell’albero della conoscenza? del bene e del male? (di Dio e della sua ‘totalità?) mcarla

  11. Penso che da tanto tempo non cerco più di andare oltre il limite…fino ad un certo punto l’ho fatto forse troppo, chissà? di fatto ad un certo punto il panico, l’angoscia e la malattia mi hanno fatto da limite, e quelli sono limiti soffocanti, sbarre che ti si stringono intorno sempre più….eppure questa prigione mi fa meno paura di quello che non conosco.
    in passato avrei senza dubbio aperta la 13ma porta, anche solo perchè era proibita e speranzosa di trovare la felicità che non c’era (non so se fossi stata in paradiso…forse il bisogno sarebbe stato minore, ma la curiosità?). Adesso no, se trovassi un angolino dove sto bene, credo preferirei non rischiare. Chissà che invece non sia il fatto di star bene che dà la forza di sperare che ci sia di meglio?
    grazie Maria Pia della fiaba e di come l’hai proposta
    con simpatia Ennia

  12. Grazie, Antonella di averci ricordato che spesso i maschi sono più imprigionati di noi nel loro ruolo sociale, osano meno perciò e assaporano meno la grandezza della vita! Speriamo che qualche maschio ci contraddica!

    Maria Carla, giustamente hai ricordato la fiaba di Barbablù, lì la protagonista, sfidando il divieto, si libera dal mostro e riscopre la sua vera umanità, i suoi veri desideri. Adamo ed Eva con il peccato lasciano il Paradiso terrestre, ma scoprono l’importanza e la grandezza della Misericordia di Dio.

    Ennia, nello star bene con sé stessi e con gli altri, c’è già l’apertura di tutte le possibili porte di guarigione e libertà.

    Ancora grazie a voi tutte, che mi avete suggerito queste riflessioni. Mariapia

  13. Cara Mariapia, grazie per aver presentato una delle fiabe meno note ma assai profonde dei Fratelli Grimm.
    Il mio commento è una breve riflessione sul contenuto della visione oltre la porta aperta dalla tredicesima chiave: nientemeno che la Trinità! Dunque una visione beatifica (anche se pericolosa per tutte/i noi che siamo immature/i a tanta pienezza di senso, a tanto splendore e sovrabbondanza), un contatto diretto semplice e potente con il divino e – nell’esilio terrestre della ragazza protagonista – forse la scintilla d’oro di un ricordo che le ha permesso di sopravvivere alle avversità, forse una luce che le è rimasta attorno e ha affascinato il principe che passa nel bosco tanto da farlo innamorare per sempre, da sposarla, da difenderla finché gli è possibile dall’accusa di stregoneria. Penso che noi donne, molte di noi, sono proprio così: creature capaci di più diretto contatto con l’essenza della Vita, e allora perché focalizzarci solo sull’aspetto della trasgressione e della colpa? Certo nella fiaba questo non manca, ma personalmente ho imparato / sto ancora sempre imparando, con molto dolore e in molto tempo, che quel momento, la visione della vita vera, l’accesso al senso primo e ultimo di tutte le cose, quel momento anche se non può essere trattenuto, anche se venisse una volta sola nella vita, vale la pena di essere vissuto e responsabilmente custodito. Qualunque cosa debba poi accadere nel precipitare della nostra vita terrestre. Un affettuoso saluto a te e tutte. Caterina

  14. grazie Caterina
    mi mancava l’inserimento della visione della trinità nella ricchezza di elementi di questa fiaba… non a caso le rimane la luce sul dito, un po’ marchio della trasgressione , ma soprattutto lume nel buio delle asprezze e del buio della vita.
    E’ molto bella la tua interpretazione.
    ciao

  15. Mi unisco a Ennia nel ringraziare Caterina, per aver messo in evidenza altri aspetti della narrazione.
    Lo psicanalista Eugen Drewermann interpreta la fiaba come lo sviluppo di una giovane donna che da principio vive in balia della madre. Ella deve assolutamente liberarsi da questa prigionia e conoscere la propria sessualità; deve seguire il proprio desiderio nostalgico del mistero dell’amore, che apre il cielo.
    Verranno poi delle prove, soprattutto perché non si sarà riconosciuto fino in fondo la proprio nuova realtà, ma si sapranno superare e si diventerà pienamente adulti! Mariapia

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