L’universo delle Psicoterapie (3): alcuni rilievi antropologici nelle psicoterapie di ultima generazione a confronto con “chi sono Io nel profondo del mio essere liberato”.

Commenti

  1. Grazie davvero, caro Michele, credo che tu stia svolgendo un lavoro immenso e necessario, mettendo a confronto metodi diversi che pure hanno molto in comune, e al contempo ponendo l’attenzione sulle fedi implicite che ogni percorso di cura/guarigione/liberazione porta sempre con sé. Noi, in DP, tendiamo ad esplicitare, specialmente a partire dalla seconda annualità, la fonte cristologica di tutto il nostro cammino. Un abbraccio. Marco

  2. Ogni volta che
    Non ho aperto gli occhi
    S’è rabbuiato il mondo
    Ho chiuso Le finestre
    sul giorno

  3. Caro Michele,
    l’aspetto per me interessante dell’articolo, essendo io impegnato nel modello psicospirituale, è che viene distinta la struttura psichica cognitiva dai valori della persona. Molto spesso infatti si tende ad identificare la persona con la sua struttura psichica in quanto tutto viene comunque manifestato tramite la psiche. Molto facile cadere quindi nell’errore di identificare la psiche come il centro del nostro essere quando invece essa è solo lo strumento privilegiato con la quale la persona può manifestarsi nel mondo. Questo aspetto diventa di grande rilevanza nella conduzione della psicoterapia. Fa una grande differenza infatti se il terapeuta, nel favorire la consapevolezza, ovvero la conoscenza dei collegamenti che esistono tra pensieri, emozioni, comportamenti, orienta la persona anche alla scoperta dei propri bisogni autentici.

    Un caro saluto.
    Enrico Loria

  4. Caro Marco G.,
    a volte ho l’impressione che gli studiosi e gli psicoterapeuti, accademici o clinici, abbiano compiuto studi sempre più minuziosi su ciò che poi dovrebbe essere un ausilio a far stare meglio l’umanità, ma che poi se questi ausili li si analizza al microscopio ci si può accorgere che non sono metodi o strategie così nè tanto fruibili, nè tanto comprensibili ad una vasta moltitudine, nè così rilevanti se paragonati agli sforzi e alle apparenti complesse visioni di sviluppo innovativo che vorrebbero offrire.
    Tali estremizzazioni e parcellizzazioni operative le vediamo anche in altri campi, come quello tecnologico, medico e addirittura teologico per esempio. Come se ci fosse un appiattimento su uno scientismo positivista, redditizio addirittura, che toglie il respiro, la libertà e la creatività all’uomo, che infatti sappiamo sfruttare il 20% del suo cervello.
    Mentre ci interessa selezionare e rendere operativo un metodo che sia efficiente e poi efficace, trasversale ad altri campi del sapere, come un apprendere un metodo, e della immaginazione su come poter rendere migliore il mondo e le interazioni umane.
    Insomma, non confondere i fini con i mezzi.
    Infatti l’uomo oggi mi pare soffre molto perché niente sembra occuparsi di lui, che viene ridotto a mezzo, quanto di ciò che strumentalmente può offrire, come se fossimo tutti assetati di soddisfare compulsivamente nello sfruttamento certe mancanze, di senso, di bene, di amore, come se fossimo tutti tossico-dipendenti e imprigionati in circuiti di un piacere effimero e mai realizzante l’uomo in modo integrale.

  5. Infatti Marco M., il punto è alzare lo sguardo, non farsi prendere o rapire dalle false illusioni, quando poi la luce sappiamo che è connaturata all’essere.

  6. Caro Enrico, si è così, è da quando apriamo gli occhi al mondo che veniamo confusi, e siamo persi e gettati nel mondo quasi a fare numero. Vogliamo riconoscerci in ciò che per ognuno può essere il suo ruolo insostituibile, in ogni luogo del vivere ordinario.

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