Oltre nichilismo e fondamentalismo: per una cultura rivoluzionaria della pace

Commenti

  1. Buongiorno Francesco

    Non so se il “Fondamentalismo” Russo-Ortodosso che Dugin sembra portare avanti, sia di tipo “Attivo”. Mi pare di capire che sia una conseguenza non voluta, più che l’obiettivo alla fine del cammino. Forse dall’interno delle dinamiche cristiane la Russia ha sempre espresso il suo desiderio inconscio di voler essere accettata come amica fraterna dall’occidente, soprattutto europeo. Prova ne è che la Russia comunista, nonostante le persecuzioni e la secolarizzazione, non abbia in realtà cancellato per sempre la chiesa ortodossa avendone tutte le possibilità e la forza. Sorte molto differente capitata alla cultura tradizionale cinese con il maoismo, ove la Cina nega totalmente le tradizioni e si apre all’occidente solo per questioni utilitarie e non di certo per affinità culturale.

    Penso che la Russia in questo momento viva la situazione come un tradimento, perché è indubbio che da tanto tempo stia cercando di essere accettata dall’occidente, e per essere accettata cerchi di estremizzare ciò che dal suo punto di vista crede siano le chiavi principali dell’essere occidentale. Così il loro “oligarca” si mostra il più opulento possibile per manifestare non solo l’accettazione ma anche il desiderio profondo di far parte del modello di opulenza occidentale, e il loro “Papa” si mostra il più, appunto, ortodosso possibile a testimonianza della loro totale accettazione e affinità spirituale ai principi occidentali. O almeno quel tipo di spiritualità che credono che in occidente ancora esista.

    Sembra di vedere un bambino che cerca di imitare il padre per compiacerlo, ma il padre lo ignora. L’errore del padre è non riconoscere che il figlio lo sta già passando in altezza di una spanna, e che è l’unico appoggio che ha per sostenere la sua vecchiaia.

    Questa non è una dinamica che si è innescata da ora, la Russia è da secoli che sta cercando di essere accettata, estremizzando ogni volta il modello che l’Europa propugnava volta per volta.

  2. Grazie caro Francesco,

    ho molto apprezzato il tuo punto di vista equilibrato, informato e direi rinfrancante, un sano antidoto a tanta comunicazione mediatica ormai patentemente “di parte” e tendenzialmente belligerante. Perché così? Forse perché in fondo è questo (come si evince anche dal tuo testo) l’unico modello che conosce e concepisce, ovvero quello dell’abuso o dell’essere abusato:

    “Sweet dreams are made of this
    Who am I to disagree?
    I’ve traveled the world and the seven seas
    Everybody’s lookin’ for something

    Some of them want to use you
    Some of them want to get used by you
    Some of them want to abuse you
    Some of them want to be abused”

    Così nella lucida, bellissima canzone degli Eurythmics del 1983, “Sweet Dreams”. “I dolci sogni di questo son fatti, chi sono io per dissentire? Alcuni voglio usarti, altri essere usati, alcuni farti violenza, altri subirla”.

    Per la cultura rivoluzionaria della pace, i tempi però sono maturi. Credo che la prova più forte di questo sia quanto la sentiamo necessaria nel cuore, a prescindere perfino dalla nostra abilità nel costruirla. In questo senso ogni gruppo, associazione, consesso umano che punta verso questo, a qualsiasi tradizione si ispiri, credo trova un punto di contatto e una possibilità – forse ancora tutta da scoprire – per lavorare insieme.

    Grazie.

  3. Francesco Marabotti dice

    Caro Simone,
    il punto che tocchi è molto pertinente, ovvero il rapporto fra Russia e Occidente,
    inteso come Europa continentale e poi Stati Uniti. Richiederebbe un libro intero,
    però è vero che negli ultimi secoli, penso a Pietro il Grande, la Russia
    ha rincorso le scoperte e i progressi delle nazioni europee, consapevole di non coincidere con esse.

    Ha avuto cioè un rapporto di assorbimento e allo stesso tempo di distacco dall’Occidente,
    sfociato poi nella guerra fredda fra Urss e Usa. Ritengo che oggi la chiave esposta
    nel testo aiuti a comprendere come ci sia una complementarietà
    fra una certa deriva nichilista dell’Occidente e queste reazioni tradizionaliste.

    Noi operiamo per un passaggio verso una maggiore consapevolezza delle ragioni e dei limiti di entrambe le posizioni,
    che coabitano anche dentro di noi.

    Un caro saluto,
    Francesco

  4. Francesco Marabotti dice

    Caro Marco,
    ti ringrazio della lettura e della risposta.

    Un caro saluto,
    Francesco

  5. Elvi Brevi dice

    Buongiorno a tutti.
    Da perfetto ignorante pongo alcune questioni personali.
    Cosa sappiamo veramente della cultura russa?
    Abbiamo tutti gli strumenti per comprenderla e decifrarla?
    Etichettare un mondo in due visioni non è riduttivismo?
    E il riduttivismo non è la causa di ogni guerra?
    Se la nascita della coscienza e l’inizio della fine della mente bicamerale pongono le fondamenta alla metafora come strumeto di espressione del linguaggio, quindi dell’esperienza rappresentativa del mondo, cosa sappiamo del mondo reale in definitiva?
    La nascita della coscienza non è altro che la presa d’atto dell’esistenza della morte come alter ego della vita.
    Può dunque la morte essere estrapolata dal contesto metaforico?
    Se sì, quale linguaggio nuovo, quale visione potrà soppiantare un meccanismo millenario della mente umana e del suo linguaggio?
    Se la vita si sviluppa a partire dal seme -uomo in potenza – e dalle radici come primo fondamento, possiamo concepire una soluzione altra che non preveda il radicamento dell’identità umana dentro steccati esperienziali definiti?
    Considerato che la più grande difficoltà dell’essere umano è di radicarsi nell’essenza di sé accettando di modellare la sua vita alle dinamiche trans-formative della vita, ha senso affermare che l’affermarsi delle ideologie è di per sé quasi corrispondente alla necessità delle masse di aderire ad uno schema “salvifico”, ischemico, totalmente fuorviante rispetto al vero senso della vita che non prevede in realtà schemi pre-definiti?

    Esiste sempre un’alternativa fra pro e contro che vola più alta della semplice necessità da parte di chi vuole dominare di imporre uno schema di gioco. Ma esiste anche la necessità di aderire ad alcune regole se si partecipa allo stesso gioco. Forse il problema è di saper sciegliere con più accortezza le regole ed il gioco al quale stiamo giocando.

  6. Diego Cianfanelli dice

    Grazie di questa riflessione Francesco. Effettivamente sembra che, almeno dal punto di vista retorico, ascoltando i discorsi di Putin, ma anche di Dugin, emerga proprio questa polarizzazione. Quello che mi colpisce però è che iniziando a leggere un po’ Dugin, si evidenzia da subito un pensiero decisamente non tradizionale. Sicuramente non cristiano, ma direi nemmeno tradizionale alla maniera di Guenon.
    Tanto per capirci Dugin in “Soggetto radicale, teoria e fenomenologia” scrive:
    «Il Soggetto Radicale non va associato a un’immagine religiosa, né a una figura del tradizionalismo classico. Egli partecipa a un processo traumatico del tutto insormontabile, senza pari, in un certo senso situato fuori – o, quantomeno, all’estrema periferia – della metafisica tradizionale».
    L’uomo nuovo che va dipingendo è completamente alieno al Cristo in quanto separato dal cielo, dal Padre, anzi, si separa dalla condizione paradisiaca creando via via mondi sempre più inferi per arrivare proprio alla liquidazione finale, che lui identifica con il postmodernismo, proprio per emanciparsi, scogliere tutti i legami e, in un certo senso nascere come IO assoluto (mi verrebbe da dire NON relazionale), appunto come “soggetto radicale”.
    È evidente come ci sia tanto Nietzsche e poca ortodossia…
    Certamente è una prima lettura, sicuramente incompleta, tuttavia trovo interessante notare come Dugin sembri usare una retorica tradizionalista come ideologia esterna, per poi nascondere al suo interno una visione nichilistica e superomistica.

  7. Francesco Marabotti dice

    Caro Diego,
    sì è proprio così. In realtà se andiamo a sondare a fondo
    sono due facce della stessa medaglia.

    Un abbraccio,
    Francesco

  8. Fabrizio Sebastiani dice

    Eh si, due facce della stessa medaglia.

    Ok: facciamo “prima” la pace interiore e poi quella “esteriore” (delle “strutture esterne”): il messaggio stesso del Cristo (e a dire il vero anche di ogni Sapienza iniziatica seria) dice la stessa cosa: che dopo ne conseguirà automaticamente la pace anche delle strutture “esterne”. Le collettività essendo fatte niente altro che da persone, possono produrre un mondo di pace solo da persone pacificate. Siamo d’accordo.

    Dunque è inutile, illogico e irrazionale cercare la pace nelle “strutture esterne” come dice un tweet odierno di Darsi Pace? https://twitter.com/DarsiPace/status/1516349410912964610?s=20&t=wembfLoJocKQPVEbK-k38w

    Qui le cose si complicano. Nel frattempo che costruiamo la pace interiore, mentre il mondo continua a funzionare con le sue regole egoico-belliche, non aspetta certo che tutti abbiano trovato la pace del cuore per perpetuare le sue devastazioni. Dunque cosa è giusto fare? E’ questa la domanda “difficile”: mi pare un po’ troppo facile dire “se potessi andare alla velocità della luce sarei sulla Luna in un secondo”. Nel frattempo che non ci vai alla velocità della luce, come pensi di andare sulla Luna? Rinunci solo perchè non hai ancora l’astronave a curvatura spaziotemporale di Star Trek perchè ci vuoi per forza andare in un secondo? Comincia subito a lavorarci alla curvatura spaziotemporale…. ok, ma nel FRATTEMPO che faccio?

    E’ ragionevole dire “bisogna prima pacificare il cuore” mentre la gente viene massacrata a due passi da casa? Per chi scrive dietro a una tastiera è facile dire di pacificare prima il cuore, ma chi viene bombardato e massacrato o vede morire i figli di fame o di sete non credo che sia un’idea molto allettante. A questa persona qui che tipo di giustizia (anche parziale ed egoico-bellica) vogliamo tentare di offrire? O forse vogliamo dirgli che, no ci dispiace, dobbiamo ASPETTARE la pacificazione di tutti i cuori?

    Stiamo investendo molto nella fusione nucleare sperando che prima possibile possa darci energia pulita a basso costo a tutti: ma nel frattempo dobbiamo gestire il fatto che non l’abbiamo, il che è oggettivamente difficile. Ma nel frattempo ci stiamo lavorando…. bene, no?

    Questo è ciò che distingue la politica dall’utopia: prendere le decisioni migliori in un mondo comunque sbagliato e distorto, perché quelle decisioni urgono qui e ora. Adesso, con queste distorsioni. Non si può dire “questa soluzione è sbagliata perchè è egoico-bellica / distorta”. Grazie che lo è. Riconoscere che queste sono soluzioni egoico-bellica è certo un buon progresso: e ben venga. Ma basta?

    Se il mondo è egoico-bellico, è chiaro che una qualunque soluzione concretamente praticabile non potrà che essere a sua volta egoico-bellica: allora si tratta di capire quali fra esse è la meno egoico-bellica delle altre.

    L’incarnazione non ci dice forse questo? Che dobbiamo immergerci in queste distorsioni e prendere le scelte al loro interno, e non far finta che non ci siano?

    Questo è molto faticoso, davvero molto faticoso. Dire invece che vorresti l’astronave di Star Trek quando sei a una frazioncina delle conoscenze per implementarla, e poi lamentarti che ogni altra soluzione non va bene perchè è “egoico-bellica”, mi pare il pensionamento della politica e delle scelte mature e adulte: cioè quelle difficili. Mi pare alquanto disincarnato dalla realtà, anzi un modo per fuggire dalle cose serie, difficili, decisioni che non vorremmo prendere.

    Allo stesso tempo non farsi sconti e lavorare con impegno a ciò che serve veramente (la curvatura spaziotemporale di Star Trek) deve essere una urgenza per tutti: se non lo si fa si rimarrebbe in un luogo senza speranza e senza scampo. No grazie.

    Però, per favore, senza farsi facili sconti, ai quali tutti infondo sono capaci.

    A volte ho la sensazione che oltre ad esserci una “banalità del male” – orrenda e inquietante – vi sia anche una “banalità del bene” quando è montata di retorica facile e sconti, come le offerte al supermercato.

  9. giancarlo salvoldi dice

    L’Europa respira coi due polmoni, quello orientale e quello occidentale, che da mille anni sono mantici che producono vita potente, ma che soffrono anche di polmonite.
    Se i due polmoni si fanno la guerra per curare i reciproci mali del nichilismo e del fondamentalismo, continueranno a respirare ma saranno sempre più deboli e meno creativi.
    Marabotti nella sua riflessione evidenzia che le distorsioni di entrambe le culture contengono verità buone da riscoprire e valorizzare e da mettere in dialogo.
    Ma il dialogo utile non può mai tagliare un corno della contraddizione, e questo è il difficile, è una “via crucis”.

    Posto che tutte le guerre sono “difensive” e che la difesa è già offesa, e che mentre rifiutiamo la guerra con le armi non accettiamo neppure le “guerra economica” attraverso le fonti energetiche, allora forse dobbiamo accettare di non avere nessuno strumento per impedire i massacri anche di donne e bambini innocenti in Ucraina?
    Forse sì, anche se questo è rivoltante per la nostra umanità.
    La libertà di un popolo ha prezzi altissimi da pagare in vite umane e forse ciò è inevitabile.
    Ma del resto l’incremento delle forniture di armi se da un lato sostiene valori e princìpi fondamentali per l’umanità, dall’altro aumenta distruzione sofferenze e morte.

    Da nonviolenti potremmo sostenere il disarmo unilaterale, ma dovremmo avere ben chiaro che l’appetito cinese dopo il Tibet e Hong Kong non rinuncerà a Taiwan.
    E che i combattenti islamisti non disarmeranno mai in Siria, in Afghanistan, in Nigeria, in Somalia, nello Yemen, e nelle capitali europee.

    Allora non ci resta che avere tanta fede da credere che oggi dobbiamo usare la potenza della nostra conversione e della nostra preghiera per costruire un futuro di pace.
    E possiamo provare a creare una cultura nuova che, concordo con Marabotti, sappia coniugare modernità e tradizione.
    Questo implica la collaborazione tra diverse culture che devono saper riconoscere i propri limiti ed apprezzare i valori degli altri: lavoro difficile ma entusiasmante.

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