Certamente artificiale, ma ben poco intelligente

Commenti

  1. Giulio Di Santo dice

    “Grazie” all’algoritmo, il medico si svincola dalla fatica e dalla responsabilità: smette di ragionare e il suo lavoro diventa più facile, permettendogli di “sopravvivere” meglio ai carichi (anche orari) a cui viene sottoposto, inoltre si libera dal peso della responsabilità, perché se si verifica l’errore che nuoce al paziente, la colpa sarà dell’algoritmo che dovrà essere migliorato e modificano e nel frattempo… si soffre e si muore.

    Iside Fontana ti ringrazio, perché con questo post mi consenti di fare un’ulteriore riflessione: sapete che mancano all’appello tantissimi medici di base, che i medici andati in pensione non sono stati sostituiti? Quando la lacuna sarà incolmabile, anche col super-lavoro dei medici rimasti, come si sopperirà? Ci avete pensato? “Intelligenza Artificiale”… Devo aggiungere altro?

  2. Grazie cara Iside, ancora una volta sollevi temi importanti attorno alla salute e ai sistemi di cura, mettendone in luce quelle carenze apparentemente marginali, secondo i protocolli o le linee guida, che invece rendono conto dell’atroce carenza di umanità che si può incontrare. Non parli certo di maltrattamenti o danni volontari, ma della freddezza e del distacco che si può percepire quando chi si ha di fronte non ci riconosce come esseri dall’immenso valore. Quelle situazioni in cui il cuore si congela e si capisce che non c’è altra via se non aggiustare qualcosa qua e là nel proprio corpo.
    In genere mi trovo dall’altra parte, sono uno di quei medici che stanno sopportando e subendo un sovraccarico lavorativo citati da Giulio nel commento precedente, e so quanto sia facile cadere in questa dimenticanza e quanto sia invece necessario richiamarsi continuamente ad una sensibilità che non veda solo corpi malati da aggiustare seguendo gli algoritmi, ma ciò che vi “vive dentro”. Tu scrivi qualcosa di bellissimo e tanto desiderato, che richiama metodi terapeutici da riscoprire, ma che allo stesso tempo richiede impegno da parte di tutti e che difficilmente si può realizzare nei tempi e nelle modalità di un ambulatorio superaffollato:
    “Il medico saprà allora guidare il suo paziente nel viaggio della conoscenza di sé, perché stanno già camminando insieme nello stesso percorso.
    Impareranno insieme, medico e paziente, ad abitare la potenza della corporeità umana, la sua capacità omeostatica di ritrovare equilibri perduti. Certo non occorre avere fretta, la guarigione ha i suoi tempi che non possono essere assoggettati alla frenesia di un mondo in accelerazione catastrofica.”
    Questo significa smettere di ragionare in modo meccanicistico e favorire una relazione che salvi entrambe le parti, dove i principali medicamenti sono fiducia ed empatia.

  3. Lo sappiamo bene, questo modo di svolgere la professione medica è l’esito di un sistema sanitario che chiede prestazioni e non relazioni. Questo sistema sanitario è l’esito di un modo di governare il servizio pubblico dimentichi di essere al servizio. Questo governo è a sua volta l’esito di una politica Smarrita e asservita ad un sistema economico finanziario predatorio.
    alla fine, torniamo sempre lì: all’antropologia di guerra che ha bisogno di conversione per un’antropologia
    di relazione.
    iside

  4. Grazie cara Iside, perché ci ricordi instancabilmente e sempre molto ragionevolmente che non siamo macchine e non siamo riducibili ad insiemi di dati, tabelle e numeri. Dimorando nel fatto che siamo “di più” di quanto questa civiltà del “capitalismo della sorveglianza” vorrebbe farci credere, iniziamo a curare il nostro profondo disagio, ritroviamo la preziosità della nostra natura. Nella contestazione continua e precisa (indispensabile, scrive Marco Guzzi in “La politica di una nuova umanità) delle storture di questo sistema, davvero il punto di rottura diventa “il punto di uno sbocco”.

    La luce non c’è ancora, qui, ma già si vede.

    Grazie davvero.

  5. giancarlo salvoldi dice

    La cara figura della levatrice d’antan quanto sarebbe utile e necessaria, e magari incoraggerebbe a far figli anche giovani donne impaurite che subiscono come tutti una condizione di vita isolata.
    Levatrice, medico condotto, prossimità ed umanità sono valori che, in forme nuove, vanno recuperati.
    E’ propri vero, cara Iside, il riconoscimento de “la dimensione spirituale che ci costituisce” sarebbe la prima terapia.
    Ma non ci viene data e non possiamo aspettarla dai governi che sono sotto scacco di un’Europa che, in questo momento, è imperniata su principi di arido razionalismo e tendenti alla società-alveare.
    Io credo che molti, anche tra quanti agiscono seguendo l’algoritmo, siano convinti della verità di riflessioni come la tua che necessariamente porteranno ai cambiamenti necessari.

  6. Simone Compagnucci dice

    Cara Iside,
    Un grazie veramente infinito di queste riflessioni profonde sul tema anche a me molto caro del rapporto medico-paziente e della prassi terapeutica vigente. Ne sono interpellato in prima persona e non solo perché mi ammalo spesso.
    A volte, davanti a relazioni mediche dove quel che avverto è solo una muraglia di fredda distanza e separazione oggettivante, mi dico che no, non può essere così, che quella percezione non è reale. Anche quando il rapporto fa male. Anche quando cerco o mi ritrovo a dovermi sforzare di comunicare, che so, a uno psichiatra, che la mia anima ha una forma ben precisa, per quanto capace di contenere il Tutto, e che non può essere ridotta a un cumulo di carne o a una semplice ‘sostanza’ a cui debbano essere rifilati farmaci e basta.
    Molto spesso mi scontro con l’impotenza, con la non comprensione dall’altra parte, con il dolore di sentirmi solo in una relazione di cui avrei bisogno invece di sentire un immenso calore – poiché solo quello potrebbe salvarmi – in quell’istante – e non sordità. Ma ho smesso da tempo di rimproverare ai medici questa loro modalità di agire: noto sempre più che anche loro sono vittime della mia stessa alienazione e distorsione.
    Questo allieva un attimo la mia irreale pretesa di vivere le cose diversamente, mi aiuta ad accettare di più.
    Certo, non è tutto; non si esaurisce qui; il nostro lavoro, di ricostruzione pubblica e politica, deve proseguire.
    Nondimeno, viverla così, almeno in questa fase storica molto caotica e di riassestamento, mi aiuta a vivere, forse, con un briciolo di serenità e di speranza in più.
    Ti ringrazio ancora tanto e ti abbraccio.
    Simone

Trackbacks

  1. […] asettico. O come un medico che si prefigge di trincerarsi dietro ai protocolli (o magari all’intelligenza artificiale, oggi) ma rifugge il contatto umano con i pazienti. Vediamo dunque, che questa frase è meno […]

Inserisci un commento

*