
In una scena di una delle più recenti serie TV su Sherlock Holmes prodotte dalla BBC (con Benedict Cumberbatch nei panni di Sherlock e Martin Freeman nel ruolo del Dr Watson), entrando a casa di Sherlock, Watson trova il detective a testa in giù. Watson allora chiede a Sherlock che cosa stesse facendo e perché fosse a testa in giù e Sherlock gli risponde più o meno così: “Sto guardando il problema da un’altra prospettiva”.
Introduzione
In una recente intervista al canale YouTube Destinazione Libertà, Marco Guzzi ha posto nuovamente una domanda interessante e che richiederebbe una attenta riflessione sia individuale che collettiva. La domanda è la seguente, “Perché non riusciamo ad animare un movimento rivoluzionario non violento all’altezza dei tempi avendone tutte le ragioni?” (Guzzi and Destinazione libertà, 2024). Già perché? Le varie guerre in corso, nuove e antiche, e il susseguirsi di crisi caratterizzanti la società di oggi – economico-finanziaria, politica, sociale ed anche sanitaria – ci dicono chiaramente che un cambiamento di rotta sarebbe alquanto necessario ed urgente.
Tuttavia, rivedendo ed analizzando le diverse forme di protesta e i movimenti stessi di protesta, che nel corso degli anni si sono venuti a creare, è possibile notare come effettivamente non siano riusciti ad apportare nessun cambiamento reale. Qui mi riferisco in particolare alla modalità di relazione tra gli individui, in quanto credo sia uno degli aspetti chiave su cui la società si fonda, si sviluppa e si proietta anche all’esterno di sé. Pensiamo ad esempio al movimento del #MeToo, iniziato negli USA e nel mondo anglofono più in generale e diffuso ormai a livello globale: se da una parte era iniziato per portare attenzione a quella che si potrebbe definire una distorsione dei rapporti tra l’uomo e la donna, dall’altra, è finito per diventare un altro strumento per acuire ulteriormente queste distorsioni con conseguenze importanti ed anche parecchio negative.
O ancora, pensiamo al cosiddetto progetto di decolonizzazione dei programmi di studio nelle università, anche questo iniziato negli USA e nel mondo anglofono e diffuso praticamente ovunque. Anche qui, l’intento, da una parte, era quello di dare spazio a voci intellettuali ed accademiche diverse e che tendenzialmente non venivano messe in risalto o magari rimanevano, per così dire, chiuse, all’interno del loro Paese o regione del mondo d’origine, particolarmente nel cosiddetto ‘Sud Globale’. Invece, si è trasformato anche questo in un altro strumento per acuire ed inasprire le distorsioni relazionali tra le cosiddette ‘minoranze etniche’ e più in generale i popoli non occidentali e i popoli cosiddetti ‘occidentali’ (prevalentemente bianchi).
Quindi, in sostanza, finora non abbiamo visto un cambiamento di pensiero, di logica che viene poi applicata nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni tra individui e tra gruppi di individui. L’unico cambiamento cui abbiamo assistito e cui assistiamo quotidianamente è semplicemente il tentativo di rovesciare le posizioni all’interno delle logiche di potere tra chi detiene il potere e chi non lo detiene. In altre parole, i vari movimenti di protesta che abbiamo visto fino a questo momento non hanno in realtà ancora proposto una logica diversa dalla logica di potere e di quella del noi contro voi, ma ognuno di questi si propone come colui cui spetta la gestione del potere – perché migliore dell’altro movimento, dell’altro gruppo e/o di coloro che in quel determianto momento detengono il potere – e cui gli altri devono semplicemente obbedire proprio in virtù del fatto che questi si propongono come i ‘Migliori’, i ‘Giusti’. Perciò la domanda che Guzzi pone, nasce spontanea: perché non si riesce a proporre nulla di veramente nuovo e quindi non violento?
Con questo articolo vorrei offrire una riflessione, contribuendo a far luce sul perché non si riesca a proporre qualcosa di veramente nuovo, non violento e quindi positivo. Per fare ciò vorrei partire proprio dal brevissimo paragrafo posto prima di questa sezione introduttiva e riportante una scena di una delle più recenti serie televisive su Sherlock Holmes prodotte dalla BBC e vorrei unirlo ad alcune argomentazioni che ho tratto dalla psicologia della Gestalt (che naturalmente è molto più articolata di come la presento qui).
Cornici interpretative
Come riportato nel paragrafo iniziale, quando il Dr Watson trova Sherlock a testa in giù, gli chiede giustamente perché si fosse messo in quella posizione. Sicuramente, anche noi avremmo la stessa reazione di Watson se, tornando a casa o andando al lavoro, trovassimo qualcuno messo a testa in giù. Lo troveremmo strano, anche bizzarro. Perché? Questo accade perché come un po’ tutti i rami di psicologia ci spiegano, il nostro comportamento dipende da quelle che sono state chiamate cornici cognitive o anche credenze cognitive cui noi facciamo sempre riferimento in maniera prevalentemente inconsapevole (e.g., Welch Larson, 1994). In sostanza, il nostro cervello riceve troppi stimoli dall’ambiente circostante, stimoli che non possono essere elaborati tutti contemporaneamente. Dunque, i nostri processi cognitivi, che hanno il compito di attribuire un senso a ciò che ci circonda, selezionano alcuni di questi stimoli, quelli che vengono reputati essenziali per capire l’ambiente in cui siamo immersi e ciò che accade attorno a noi, creando così delle cornici interpretative attraverso le quali, appunto, possiamo comprendere l’ambiente in cui ci troviamo e prendere così le nostre decisioni (e.g., Sclavi, 2003). La psicologia della Gestalt, poi, pone particolare attenzione a come avviene il processo di formazione di queste cornici.
Come la parola stessa suggerisce (Gestalt in tedesco significa forma), la psicologia della Gestalt spiega che una volta che gli stimoli esterni sono stati selezionati, quindi una volta che è stata fatta una distinzione tra elementi chiave per capire l’ambiente circostante ed elementi invece secondari, che possono cioè essere lasciati in secondo piano, questi vengono poi organizzati in uno schema – in una forma – cui viene attribuito un significato ben preciso (e.g., Henle, 1979; Sclavi, 2003, pp. 23–28). Inoltre, a tutti gli elementi di questa cornice interpretativa viene dato un significato ben preciso e in base a questo significato vengono messi in relazione tra di loro. Per capire meglio questa parte del ragionamento Gestaltico, secondo me è utile fare riferimento a Theodore Roy Sarbin, uno psicologo e professore di psicologia, noto, tra le altre cose, per essere stato pioniere di quella che è stata chiamata psicologia narrativa.
Sarbin (1986) spiega che per comprendere ciò che ci circonda, noi esseri umani creiamo delle storie, cioè creiamo delle narrazioni, che ci permettono di attribuire un senso alle cose attorno a noi e a ciò che ci accade. Pertanto, si potrebbe dire che l’organizzazione degli stimoli esterni in cornici, schemi, o forme – usiamo il termine che più ci aggrada – non è altro che la creazione di una narrazione, di una storia, in cui ogni elemento ha un significato o un ruolo specifico. Inoltre, in base al significato che viene attribuito ad ogni singolo elemento, la cornice interpretativa ci suggerirà anche che tipo di relazioni ci sono e ci possono essere tra questi elementi e quindi, di conseguenza, ci suggerirà anche che tipo di comportamenti adottare in determinate situazioni. Tuttavia, come spiega Marianella Sclavi, antropologa che ha usato la psicologia della Gestalt per portare avanti i suoi studi, una singola cornice interpretativa avrà un numero limitato, per così dire, di suggerimenti comportamentali da adottare (Sclavi, 2003). Questo presenta almeno due implicazioni.
La prima è che tutto ciò che non rientra dentro la cornice interpretativa di riferimento, viene considerato strano, impossibile, bizzarro, anormale (Sclavi, 2003, pp. 26–27). Proprio questo ricorda la prima parte del dialogo tra il Dr Watson e Sherlock Holmes: il Dr Watson domanda a Sherlock che cosa stesse facendo e perché fosse messo a testa in giù perché, da come si può dedurre, secondo il Dr Watson, quella postura era strana. Cioè, si potrebbe dire che lo stare a testa in giù non era tra le modalità comportamentali previste dalla cornice interpretativa di riferimento del Dr Watson. La seconda implicazione è che, se non siamo consapevoli del fatto che le nostre cornici interpretative di riferimento sono solo una fra tante cornici interpretative diverse tra loro, cioè, sono solo un modo fra tanti di attribuire significato a ciò che ci circonda, finiamo per credere che i suggerimenti comportamentali che la nostra cornice interpretativa di riferimento ci fornisce, siano gli unici possibili e che quindi una volta esauriti, non ce ne siano degli altri. E qui andiamo alla seconda parte della brevissima scenetta tra il Dr Watson e Sherlock Holmes.
Alla domanda di Watson, Sherlock risponde che sta guardando il problema da un’altra prospettiva. In altre parole, si potrebbe dire che ciò che Sherlock sta facendo è scomporre la sua cornice interpretativa di default, creandone un’altra. Infatti, come spiega ancora la Sclavi (2003), se, ad esempio, poniamo come essenziali gli stimoli esterni precedentemente considerati secondari, mentre mettiamo in secondo piano quelli che in un primo momento erano stati considerati stimoli chiave, vedremo che si formerà un’altra cornice interpretativa, che avrà un altro significato, che proporrà diverse modalità relazionali tra gli elementi che la compongono – elementi che a loro volta avranno assunto un significato diverso – e che quindi ci suggerirà strade comportamentali diverse (vedi anche Sclavi, 2008).
La Sclavi (2003) aggiunge che nella vita ci sono delle occasioni – non sempre, ma esistono – in cui è necessario uscire appunto dagli schemi, dai propri schemi mentali, cioè, guardare le cose da una prospettiva completamente diversa perché quella che usiamo normalmente non ci è d’aiuto. Questi sono cambiamenti che la Sclavi chiama di tipo 2. Le situazioni che richiedono un cambio di cornice interpretativa sono spesso quelle situazioni che sembrano non avere nessuna via d’uscita, situazioni che sembrano non avere alcuna soluzione. Quindi, per ritornare al dialogo tra il Dr Watson e Sherlock, trovandosi in una sorta di vicolo cieco in una delle sue indagini, il detective inglese ha provato a rimescolare le cose guardandole sotto un altro schema interpretativo, facendo quindi qualcosa che ‘normalmente’, cioè secondo la (sua) maniera usuale di vedere le cose, era considerata ‘strana’.
Una questione di prospettive
Per concludere, ritornando alla domanda iniziale, probabilmente uno dei motivi per cui non si è ancora riusciti ad animare un movimento rivoluzionario non violento all’altezza dei tempi è da ascrivere al fatto che non si è riusciti ad uscire dagli schemi mentali usuali. Prima ho menzionato le logiche di potere, che vengono sempre riproposte con l’unica differenza che chi le ripropone, propone esclusivamente il cambio di chi sta al vertice, cioè di chi detiene il potere. Quindi, per usare la terminologia della Sclavi, quello che viene proposto è semplicemente un cambiamento di tipo 1, cioè un cambiamento che mantiene la stessa cornice interpretativa, e non un cambiamento di tipo 2 e cioè un cambiamento di schema mentale.
Questo ci aiuta anche a capire perché sembra che non si riesca ad uscire dalla logica distruttiva del noi contro voi. Se infatti ci guardiamo intorno e se per esempio guardiamo ai conflitti armati attualmente in corso, l’unica via relazionale possibile tra coloro che si identificano come nemici l’uno dell’altro è quella che potremmo chiamare dell’inimicizia. Via che, nel migliore dei casi, porta ad una forma di tolleranza, o forse sarebbe meglio dire di sopportazione, dell’esistenza altrui e che, nel peggiore dei casi, quando ad un certo punto si supera una certa soglia, un certo limite di sopportazione, porta allo scoppio della violenza fisica vera e propria, che può terminare o con la sottomissione di una delle parti all’altra o con l’annientamento di una delle parti (e.g., Sclavi, 2003, pp. 25–28).
Se, invece, come spesso si sente dire, l’obiettivo è evitare il verificarsi di queste situazioni distruttive e si vuole veramente portare qualcosa di nuovo, intraprendendo una strada che non ci porti come individui e come società all’autodistruzione (quindi, in sostanza, se si vuole davvero invertire la rotta nella quale sembra che ci troviamo al momento), secondo me, una strada è quella di provare a fare un esercizio di scomposizione dei nostri schemi interpretativi usuali e provare a vedere persone e cose attorno a noi da un punto di vista completamente diverso (magari proprio mettendoci a testa in giù come Sherlock!). D’altra parte, nelle varie tecniche psicoanalitiche/psicoterapeutiche spostarsi fisicamente da un lato ad un altro di uno spazio, serve proprio a guardare il problema che si sta analizzando da una prospettiva diversa, con occhi diversi, perché questo ne facilita la risoluzione. Dunque, riuscire ad animare un movimento rivoluzionario non violento dipende anche dal riuscire a modificare il modo di comprendere il mondo circostante, guardandone tutti gli esseri viventi e non viventi in modo diverso da quello solito e quindi mettendoli in relazione – mettendoci in relazione – l’uno con l’altro in maniera diversa da come normalmente li metteremmo in relazione.
Bibliografia
Guzzi, M., Destinazione libertà, 2024. L’oligarchia brama la Terza Guerra Mondiale: solo la Pace ci salverà.
Henle, M., 1979. Phenomenology in Gestalt psychology. Journal of Phenomenological Psychology 10, 1–17.
Sarbin, T.R., 1986. Narrative Psychology: The Storied Nature of Human Conduct. Praeger, Westport, Connecticut.
Sclavi, M., 2008. In Theory. The Role of Play and Humor in Creative Conflict Management. Negotiation Journal 24, 157–180.
Sclavi, M., 2003. Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte. Bruno Mondadori.
Welch Larson, D., 1994. The Role of Belief Systems and Schemas in Foreign Policy Decision-Making. Political Psychology, Political Psychology and the Work of Alexander L. George 15, 17–33.
8 risposte
Grazie cara Giulia,
molti per me i motivi di interesse di questo tuo documentato articolo. Prima di tutto, personali: ora capisco meglio quando la mia analista mi invitava – con insistenza – a cambiare prospettiva, punto di vista. Lei faceva l’esempio del film “L’attimo fuggente”, quando gli alunni salgono sopra la cattedra, ma la faccenda mi sembra esattamente la stessa.
Il fatto che per capire il mondo noi creiamo “storie” mi fa anche riflettere – da scienziato divulgatore amante delle parole – su quanto avesse ragione, a livello profondo, la poetessa ed attivista Muriel Rukeyser, quando diceva che “L’universo è fatto di storie, non di atomi”. Ed è uno straordinario riconoscimento della potenza della letteratura, mi pare. Ma l’universo stesso, un tempo identicamente uguale a sé stesso nel tempo e dunque “senza storia”, ora si comprende soltanto attraverso un “racconto” (Big Bang eccetera…), che attinge alla scienza ma rimane sempre una narrazione: la scienza ci aiuta a costruire questa narrazione, appunto.
Non per ultimo, capisco quanto il pensiero di Guzzi, da “La Svolta” in avanti, è un pensiero aperto, perché non è qualcosa di chiuso e autoreferenziale a cui non poter agganciarci – come le classiche ideologie – ma qualcosa di composito, con molti approdi e intarsi, dove si possono inserire elementi di psicologia profonda per esempio. E di economia, e sono certo – e lo stiamo già vedendo – di scienza. È una proposta di modo di guardare a sé e al mondo, suscettibile di infiniti arricchimenti in avanti, e di conferme dalle grandi tradizioni: quindi fecondo.
Questo credo sia realmente rassicurante, perché abbiamo bisogno, in questa epoca, di pensieri e attitudini aperte, capaci di “esporre agganci”: come reagenti chimici che necessitano l’intervento di enzimi per funzionare più efficacemente. Se tutto è interrelato – come la fisica ci insegna – e se vogliamo provare ad essere contemporanei, questo è l’unico modo di procedere, non è più una opzione ma una necessità.
Molte grazie.
Ciò che a mio avviso, potrebbe dare vita ad una rivoluzione spiritualmente pratica, sarebbe quella di una rinascita personale. Mi piace ricordare una frase di Gesù nella quale Egli si definisce la pietra angolare. In questa prospettiva, nonostante le nostri differenti nature, avere Cristo come riferimento comune ed oggettivo di Verità, Giustizia, Libertà, Carità e Servizio, ci consentirebbe di avere medesimi sentimenti e obiettivi comuni.
Sincronicita’.
Stavo buttando giù appunti sulla controfigurazione del movimento Darsi Pace e di Marco Guzzi che trovo nel film Figth Club e nel personaggio senza nome che da il via al suo movimento rivoluzionario dalla pienezza totale della sua scissione schizofrenica.
Credo sia il tentativo dell’umano nel suo percorso di sviluppo evolutivo incontrare questi stadi.
Siamo piccoli ancora, bambini, nello viluppo della coscienza spirituale che siamo e quindi ci schiantiamo continuamente nel nostro inferno.
Credo sia un tentativo per ora forse ancora inconscio di destrutturare le nostre cornici interpretative, un tentativo doloroso perché noi stessi, come ego incarnato siamo una cornice da distruggere, sciogliere, diluire trasmutare.
Un costo a livello di perdita, enorme per il nostro ego, per il mio ego.
Figth Club è il principio del Lavoro su si se’, dopo il quale si è preparati per il passaggio evolutivo nel percorso di liberazione proposto nel documentario/metafora “Matrix”.
In questa controfigurazione Morpheus è il nostro Marco Guzzi.
Grazie Giulia per il tuo articolo, sarebbe interessante allenarsi e addestrarsi nel riconoscere le cornici narrative per potersi relazionare con coscienza e presenza.
E nel vuoto dello spostamento tra una cornice e l’altra affidarsi alla Provvidenza e incontrare l’Indefinibile, il Mistero che trasforma.
Buon Cammino, buon Lavoro!
manca nell’uomo la presa di coscienza della condizione di oppresso…
Interessantissimo questo Freire.
Consigliata lettura, difficilissima applicazione, soprattutto nei paesi “avanzati”: non per niente ovunque la propaganda ci convince di essere liberi.
Dal libro
…gli oppressi applicano, una volta presa coscienza di tale condizione, il cosiddetto “radicalismo rivoluzionario” volto al cambiamento dello stato sociale…
per “prescrizione” intende quel processo particolare d’introiezione dei valori degli oppressori, dove la percezione di cambiamento è intesa nello svoltare da oppresso in oppressore.
Sigh
Ma nel libro idee di soluzioni…
https://it.wikipedia.org/wiki/La_pedagogia_degli_oppressi?wprov=sfla1
Questo articolo di Giulia giunge puntuale e ben si inserisce nel contesto attuale che stiamo vivendo, a livello personale e a livello collettivo, come comunità locale, nazionale e planetaria, in quanto specie.
Noi abbiamo certamente alcuni fulgidi esempi di “pacifismo rivoluzionario” ossia di quei movimenti che si ispirano a figure storiche che hanno impresso cambiamenti epocali e culturali ancora vivi nel “corpo profondo” delle nostre società contemporanee. Per me molto emblematiche sono, in base alla mie scarse conoscenze, il Buddha e Gesù’ di Nazareth per quanto riguarda il mondo antico, Gandhi, Rev. M. Luther King e Nelson Mandela nel mondo contemporaneo (considerando ancora contemporaneo il ‘900 appena trascorso). Tutte queste figure hanno capovolto, appunto, i rispettivi contesti storici, mettendo letteralmente “a testa in giù” credenze e abitudini, come ben spiegato da Giulia.
Ognuno ha proposto una prospettiva che stravolgeva i canoni del tempo e, soprattutto, per quanto concerne Gesù, Gandhi e Mandela, lottato e vinto contro Imperi e poteri apparentemente invincibili.
Ma erano questi personaggi, pur umili e miti, sottomessi? No! Essi esprimevano una forza indomabile e incontrollabile, una sfida mortale per i poteri costituiti di ogni tempo e, come in ogni tempo la risposta è stata o il carcere o l’assassinio.
I poteri di questo mondo sembrano aver sempre avuto la meglio, riuscendo di volta in volta a trasformare questi insegnamenti in religioni o ideologie, che dir si voglia.
Erano queste figure portatrici di “pace” intesa come assenza di conflitto, lotta,? No, anzi si può sicuramente affermare il contrario, perché la pace non è né sottomissione né accettazione dello status quo.
Ognuno di loro però sovvertiva innanzitutto i canoni dell’individuo, immerso nel proprio contesto storico-egoico proponendo una trans-mutazione che parte dalle convinzioni e dai condizionamenti. Gesù è esemplare e irrituale perché mentre combatteva l’ipocrisia dei poteri del suo tempo, andava coi poveri, gli esclusi, i peccatori, ma anche con i legionari, i benestanti, rendendo totalmente ingestibile il suo pensiero. Gesù però sovvertiva anche i canoni dell’ego con affermazioni del tipo “ama il prossimo tuo come te stesso” “ama il tuo nemico” “porgi l’altra guancia” che era come chiedere di scendere nel proprio abisso di angoscia e di colpa, di abbandonare tutte le difese, di guardare dentro di se e riconoscere la propria ombra, maschera distruttiva soggiogata dalla paura e dalla rabbia.
Insomma tutti erano indomiti guerrieri che hanno messo il mondo a testa in giù contestando e rivoluzionando canoni e rapporti di forza.
Ciò che accomuna questi uomini è la forza interiore, l’avere riconosciuto nella separazione e nella ferita, subita o inferta, l’origine della guerra, con me stesso, con il mio simile, con tutti gli altri.
Scendere nei nostri abissi, abbandonare la sete di rivalsa, richiede innanzitutto a noi stessi di “metterci a testa in giù” di scendere quindi nel buio della nostra sofferenza, perché è lì nel fondo della nostra disperazione, alla quale ci arrendiamo e che quindi dissolve la violenza aprendo la porta a nuove possibilità, al perdono delle mie distorsioni, al riconoscimento di quelle altrui e quindi alla possibilità di entrare in relazione e aprirsi all’ascolto, che giace la possibilità!
Al di là della evidente ovvietà di quanto ho scritto, ciò che rende, secondo me, ancora irrealizzabile una nuova forma di aggregazione, a questo punto politica evidentemente, è l’assenza di un vero lavoro interiore nella cosiddetta area del dissenso (o “dell’assenzio” come amo definirla), questa mancanza porta dritta al semplice scopo di realizzare una mera sostituzione dei poteri attuali, cattivi e opprimenti, con i poteri buoni, rappresentati da coloro che, non a caso, si auto-definiscono avanguardie. Per raggiungere questo obiettivo essi ci propongono la solita minestra, ormai scaduta e non più riscaldabile perché tossica, di Partiti pronti alla lotta, in primis interna, per scacciare gli inadempienti, gli infiltrati, quelli che sono contro perché non condividono le scelte del Partito. Propongono una competizione ormai assurda, che poi si riflette nella atomizzazione di questa area in mille rivoli, tutti individualistici, tutti incapaci di attrarre e/o rappresentare e che quindi divengono innocui e sostanzialmente inutili ovvero utilissimi per comprendere tutto ciò che non bisogna fare. Sono però utili ai potenti, che si beano a vedere come ad ogni tornata elettorale raccolgano poche briciole di voti ininfluenti. Il lavoro interiore è ostico, doloroso, richiede umiltà e pazienza e tempo, tutte qualità invise a questo mondo e ai poteri che ancora lo dominano. Gesù affermò che il tempo fosse compiuto e di avere già vinto e, a ben vedere, tutto quanto sta accadendo dimostra come questo mondo sia prossimo alla fine (il tempo è compiuto) e quindi a un nuovo inizio e come questi poteri stiano inesorabilmente crollando (Io ho già vinto).
La strada per nuove aggregazioni è un mare aperto, di incognite e opportunità, la tentazione di buttarsi nell’agone politico può essere forte, quasi irresistibile, e questo lo si capisce, ma questa non è forse la subdola tentazione di satana quando offre a Gesù tutto il mondo? Quindi, continuare su questa strada, di lavoro interiore e di eventi, feste e convocazioni e’ un ottimo antidoto ed un sicuro “vade retro”. Ogni evento, convocazione o festa si conclude sempre con una pratica meditativa, umile, piccola ma, proprio per questo, rivoluzionaria, dirompente e sovversiva… avete mai visto un congresso di Partito aprirsi e chiudersi con una pratica meditativa? Conosciamo la risposta.
Noi possiamo e dobbiamo continuare a scendere… giù, giù, giù, come nella pratica, fermarci, osservare ed essere pronti a ricominciare quando le mura di Gerico saranno cadute, il tempio della menzogna crollato pietra su pietra. Noi saremo lì, liberi, non più schiavi e finalmente sovrani, sorridenti e allegri… ma se sorrido e mi abbandono questo teatrino e’ già finito.
Come scrivi bene cara Giulia!
Non ci conosciamo ma ti ho letto con interesse e piacere! È proprio come dici tu: una questione di sguardo, di narrazione. Lo vedo molto spesso nel mio lavoro di consulente ai genitori. Mi portano un problema che non riescono a risolvere. Li ascolto con attenzione. Provo a suggerire una chiave interpretativa diversa e la loro visione si apre…trovano quasi da soli la via d’uscita…
Ma senza scomodare i problemi degli altri posso dire senza alcun dubbio che l’ho sperimentato io stessa durante il percorso in Darsi Pace. Rileggendo ciò che scrivevo all’inizio mi rendo conto di quanto me la raccontavo, convinta che le cose stessero proprio così come le vedevo allora.
Piano piano, proseguendo col duro lavoro di scalpello, di spalatura, di scioglimento, aprendomi ad un ascolto che mi guida e mi abbraccia sempre di nuovo, imparo che la realtà cambia al mutare del mio stato.
Per questo facciamo così fatica ad essere veramente rivoluzionari! Chi è disposto a mettere mano al piombo per cercare un grammo d’oro????
È molto più facile rubarlo agli altri ripetendo i soliti copioni del dissenso.
La Nuova Umanità è lì che ci attende ogni volta che scegliamo da che parte stare: né pro né contro.
Semplicemente altrove.
Grazie per gli spunti.
Ciao!
Grazie cara Giulia, davvero un documento ben scritto e meditato, di grande equilibrio e al contempo capace di aprire squarci di profondità nello scenario che potremmo considerare più immediato di tutti.
Ne avremo molto su cui lavorare!
Un abbraccio e a presto,
Luca.
Grazie – cara Giulia – per il contributo offerto, caratterizzato da competenza e passione e che induce a riflessioni di attualità. I “riflessi” prodotti nei post a commento (tutti interessanti) ne sono testimonianza.
Come ben argomenti, nessun principio di cambiamento sostanziale può prescindere da un “ribaltamento” degli abituali, ristretti e limitanti, schemi mentali, fonte di sofferenza profonda spesso inconscia.
Si richiede un passaggio di stato (trasloco) non naturale nè scontato.
La metanoia o “salto quantico”, richiamato dalle tradizioni sapienziali e dalle ricerche scientifiche più recenti, implica un movimento di “rivoluzione” (moto di ritorno intorno al proprio centro gravitazionale), a partire dal nostro micro-cosmo interiore.
Penetrando (non senza sofferenza a volte titanica) la nostra “periferia” – intrisa da fitta rete di distorsioni e alienazioni distruttive (paure, rigidità, resistenze, insicurezze, contraddizioni, ombre e ambivalenze) – impariamo gradualmente a riconoscere e abbandonare quell’assetto egoico strutturale che, pur costituendoci ontologicamente, non rappresenta la Verità di noi stessi.
Al cento della storia, personale e collettiva, esistono luoghi non del tutto esplorati. Sotto la coltre degli scenari bellici, esistono fenomeni noumenici che possono richiamarci ed evocare processi di con-centrazione. Come in una spirale ascensionale, biografie di alcuni uomini e donne, del passato come del presente, riescono a parlarci significativamente di quel messaggio iniziatico ed universale di “Colui che salva”.
A noi metterci in “ascolto” per ricreare connessioni vitali all’insegna di una Integrità e Pace durature.
Una Realtà che già percepiamo ma che non è ancora compiuta.
Grazie per la tua voce.
Tina
Il cammino di lenta e graduale trasformazione di quell’assetto di “distorsione” strutturale – che ci costituisce tutti a livello ontologico ma che possiamo progressivamente riconoscere e abbandonare nelle sue forme distruttive di separazione/alienazione – può consegnarci, non senza fatica nsegna progressivamente ad una visione o “prospettiva” di evoluzione e Pace duratura.