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Commenti

  1. Giuliana Martina dice

    Cara Brunella,
    attraverso il tuo esercizio possiamo vedere il rapporto tra stati dell’io e linguaggio.

    Parole pungenti, urlate da una voce graffiante, perentoria che fa da padrona nascono dallo stato di prigionia in cui siamo ordinariamente; è il linguaggio dell’io dimentico di sé, in preda a turbini di pensieri confusi che derivano dalla storia personale e collettiva.

    Decidere l’evasione ci sposta nello stato dell’io in conversione che inizia ad osservare e riconoscere i pensieri e le emozioni distruttive che ci abitano; l’io in conversione parla il linguaggio della confessione che non è solo sacramentale, è un linguaggio che possiamo esercitare attraverso una consapevolezza più profonda di noi stessi.

    La discesa nell’abisso della coscienza sempre più placata, pacificata, liquidata ci apre alla relazione con lo spirito divino, prende corpo in noi il linguaggio orante, il linguaggio consapevole di essere relazione; l’io in relazione chiede aiuto sul serio al mistero della vita perché sta morendo e sta sperimentando la propria impotenza assoluta.

    E dentro la relazione, nell’uomo divino-umano, chi parla?
    L’io in Cristo parla la lingua di Dio, parla la parola di Dio e la parla adesso.

    Il linguaggio umano è mistero divino, non esistono parole autonome. Più entriamo nella comprensione dello spirito delle parole, più scopriamo che il luogo da abitare è la fede eloquente, come scrive Marco nella poesia “Abitabilità” (Nella mia storia Dio, pag.21)

    E’ questo il luogo che vogliamo abitare per reimparare a parlare.

    Grazie per la tua condivisione, spero di incontrarci a Sacrofano.
    Un abbraccio, Giuliana

  2. Si, vengo e quindi ci vediamo di certo.
    Grazie, le tue spiegazioni consolidano meglio i passaggi fatti, in una chiarezza consapevole ( per quanto possibile) di quel che accade in noi, nei vari stati.
    Abbraccio

  3. Grazie Brunella per aver condiviso con grande semplicità parole così belle e profonde…colgo una autenticità che mi corrisponde.?

  4. Bruna…scusami

  5. GianCarlo Salvoldi dice

    E’ bello leggere una così attenta e chiara lettura della propria condizione e della sua evoluzione. Come maschio non posso che invidiare con simpatia questo tratto femminile di comprensione di noi stessi, in cui esercitiamo la nostra intelligenza insieme all’umiltà del chiedere aiuto cosicchè ci sentiamo figli e quindi fratelli. Grazie

  6. Sara, Bruna o Brunella, come preferisci:
    il primo è nome di battesimo e il secondo quello che mi è stato dato fin da bambina. È bello, trovare corrispondenze, soprattutto nelle profonditá! Grazie.

  7. Ciao Giancarlo!
    Sai che a fatica sto sviluppando i miei tratti femminili? Ho vissuto molto, con i pantaloni! E tutt’ora lo faccio. Ma, le due nature si cercano, fuori come dentro di noi, per coniugarsi!
    E questo lavoro di DP favorisce molto
    l’ incontro, come di certo stai sperimentando anche tu! Grazie

  8. Cara Brunella,

    desidero ringraziarti, perché le tue parole mi parlano e risuonano, mi fanno capire meglio di tanti discorsi, l’importanza e la necessità di questo “lavoro” che non decidiamo noi di intraprendere, così per sfizio intellettuale diciamo, ma al quale probabilmente, siamo chiamati, anche ed esattamente in forza di quanto abbiamo patito, nella nostra vita.

    Prima di leggere il tuo post stavo leggendo un libro della monaca buddista Pedra Chodron, e sono rimasto colpito da quanto questi nostri esercizi incorporino quasi “naturalmente” la sapienza orientale, l’ascolto veramente ampio e non giudicante (a cui noi occidentali purtroppo siamo poco abituati), l’attitudine alla osservazione di sé condotta in modo compassionevole. Passando in pochi minuti dal libro al tuo intervento infatti ho registrato una particolare assonanza, quel qualcosa che mi fa dire “ecco qui c’è qualcosa per me, qualcosa che non perpetua indefinitamente i miei meccanismi (auto)giudicanti ma mi propone una strada, paziente, per imparare a guarire”.

    Il tuo scritto mi pare introspettivo e poetico. E confortante.
    Mi conforta molto sapere che c’è un lavoro, per la nostra ferita.

    C’è chi ha già vissuto il travaglio, come sappiamo, in grande profondità, e ci ha indicato una strada.
    E se siamo qui insieme, è per questo.

    Grazie a lui, a te e a voi tutti.

  9. Grazie, Marco, per la tua risonanza!
    Scusa il ritardo per risponderti, ma non apro il post da molti giorni.
    Non conosco la monaca citata, ma di certo il lavoro che impariamo a DP ci porta nel flusso dello Spirito, e qui, sono superate quelle barriere e confini che noi, molto diligentemente, costruiamo ovunque!
    Sí, il lavoro si nutre di pazienza, attenzione, calma e tempo!
    Davvero, se con lealtá e amorevole distacco ci osserviamo, possiamo sperimentare sempre piú la cura e guarigione delle nostre ferite.
    E imparare ad essere noi stessi.
    Buon lavoro. Ti abbraccio

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