Fin da piccolo, quando ho ricevuto in eredità il pianoforte di mia nonna sono rimasto affascinato dalle possibilità espressive di quello strumento.
Ma, era lo strumento ad avere quelle qualità espressive o, più sottilmente, ero io che avevo finalmente la possibilità di ritrovare me, o meglio, la parte più intima di me, quella più preziosa, più intensa, abissale o astrale, siderale, nell’intreccio di quei suoni meravigliosi?
Col tempo mi si è sempre più chiarito il senso di questo rapporto con i suoni. Ho capito che il suono non è ancora musica, ma entro determinate condizioni può essere un veicolo ad essa.
Ho imparato a riconoscere che la musica è intimamente legata alla mia essenza, come lo può essere per chiunque, ascoltatore o esecutore, quando l’ascolta nel pieno esercizio delle sue funzioni di essere umano.
La musica non è una “cosa”, qualcosa di esterno a me, che influisce su di me, ma sono io stesso, nel momento in cui riesco a mettere in connessione i suoni fra loro e quando avverto ciò che si muove in me in questa dinamica di rapporti, il tutto all’interno di un progetto che diventa sempre più chiaro mano a mano che mi avvicino alla fine del percorso.
La musica è possibile, così, solo in presenza di Spirito, perché è lo Spirito ad essere sullo sfondo di questo evento.
Non tutti ne siamo consapevoli, ma è ciò che avviene sempre quando ascoltiamo o facciamo musica.
Suonare più o meno bene significa riconoscere questa verità e produrre sullo strumento un gesto spontaneo, anche se frutto di un lungo e faticoso percorso, che incarni la giusta direzione.
Non tutti riescono ad accorgersi di questo, perché il sentire comune tende ad identificare i suoni con la musica, a scambiare l’influenza che i suoni hanno su di noi e la relativa attività psichica con l’esercizio della coscienza libera.
In questo contesto di pensiero radicale, l’esperienza musicale può diventare una via di liberazione interiore, vicina al percorso proposto a noi da Marco Guzzi.
Nei gruppi di Marco stiamo facendo, nella parte dedicata all’indagine psicologica, un lavoro di riconsiderazione di tutte le dinamiche relazionali della nostra vita, riconoscendo come in ognuna di esse siano da distinguere gli elementi oggettivi dalle proiezioni nevrotiche della nostra psiche.
Queste proiezioni, identificazioni, o veri fraintendimenti della realtà (male-dizioni come le chiama Marco) impediscono il libero esercizio della nostra coscienza generando disarmonie in noi stessi e nei nostri rapporti interpersonali.
Tornando all’esempio musicale, quando studio un brano musicale, ho di fronte a me due realtà: un progetto ideale, trascritto nello spartito, e i suoni per realizzarlo (l’equivalente di queste due realtà, in ambito edilizio, sono rappresentate dal progetto di un edificio, disegnato da un architetto, e i vari materiali per realizzarlo).
La musica nasce dalla coscienza libera di un musicista capace di trarre da queste due realtà oggettive un vissuto unico e irripetibile.
Dal modo in cui sono disposti i suoni sulla carta, intuisco le linee guida del progetto, mentre dall’ascolto reale percepisco le qualità intrinseche di ogni singolo suono.
Se non riconosco, non so dar giusto peso alle singole necessità dei suoni che accosto fra loro, rischio di perdere la trasparenza del tessuto sonoro, nello stesso tempo, se non avverto il gioco delle tensioni interne alla struttura musicale, e quindi la direzione delle frasi, rischio di creare qualcosa di sterile e statico.
L’atteggiamento di fiducia che riponiamo in questo lavoro è fondamentale per la sua stessa riuscita e può nascere solo da un condizione di coscienza pacificata e in ascolto.
Anche nel lavoro proposto da Marco, con pazienza e determinazione, cerchiamo di intravedere, attraverso la purificazione del nostro vissuto, il progetto trascendente che, giorno per giorno, andiamo a incarnare nella nostra vita, per trattarla come una vera opera musicale, risonante e armoniosa.
L’armonia, infatti, in musica è sempre il risultato dell’equilibrio e dell’integrazione di tutte le tensioni che noi possiamo percepire.
Non quindi un’esperienza di stasi, ma il vissuto dinamico di elementi in opposizione reciproca che, nell’arco evolutivo di un tragitto, accrescono il livello della tensione, oppure la pareggiano, giustificandosi a vicenda, fino a integrarla totalmente al termine del percorso.
Penso che il desiderio più profondo di molti di noi sia: riuscire a rendere la propria vita armoniosa, consapevolmente vissuta, un’esperienza nella quale ogni evento trovi la sua giustificazione come in un mirabile progetto pregno di significato, proprio come la composizione ed esecuzione consapevole di un brano musicale.
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