Molto spesso, nei corsi di storia della filosofia delle scuole superiori (all’università non so, ma credo che il discorso non sia del tutto diverso!), una volta compiuta col neoplatonismo la filosofia classica si passa direttamente all’umanesimo e alla modernità. I mille e più anni di filosofia medievale si scorrono velocemente, avendo il pregiudizio che la filosofia cristiana abbia contribuito poco al movimento del pensiero: c’è un po’ l’idea che i filosofi cristiani da una parte sono dei meri ripetitori dei filosofi classici (per esempio, Sant’Agostino per Platone e San Tommaso d’Aquino per Aristotele…) e dall’altra sono “contaminati” nel loro pensiero dalla rivelazione cristiana e dunque non possono parlare in nome della pura ragione umana. Questa è chiaramente una posizione abbastanza umiliante per un pensiero umano che pretenda il diritto di chiamarsi così. Prima di tutto perchè non è vero che i filosofi cristiani si sono limitati a ripetere i filosofi classici: non c’è concetto o idea infatti che non abbia subito, nel pensiero cristiano, un profondo mutamento. Basterebbe pensare alla nozione di “persona” che nell’ambito classico non era nemmeno una nozione filosofica e che, grazie al pensiero cristiano, diventa in occidente il fondamento dell’etica e del diritto (se qualcuno volesse approfondire potrebbe leggere di Etienne Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana). Oltre a ciò non si dà mai che la ragione umana pensi in modo “puro”, cioè senza riferirsi ad altri saperi: sempre la filosofia ha dialogato con le altre scienze, con l’arte, con la tecnica umana. Non si vede perchè, distinguendo bene i campi e gli ambiti, non possa dialogare anche con la teologia.
Comunque di solito questa parte della filosofia medievale viene saltata, per le più svariate ragioni.
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